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La guerra all’Isis prosegue. Anche nel cyber spazio

La guerra all’Isis prosegue, anche nel dominio cyber. Il Belgio, uno dei Paesi che hanno pagato il prezzo più alto alla violenza dei drappi neri, ha guidato un attacco informatico lanciato su scala globale contro la propaganda online dei militanti del gruppo jihadista, che hanno da poco un nuovo leader dopo la morte di Abu Bakr al-Baghdadi.

IL CYBER ATTACCO

L’offensiva, riporta il quotidiano La Dernière heure citando il procuratore federale belga, è stata compiuta nei giorni scorsi nel quadro di un’inchiesta delle autorità di giustizia del Paese. “Migliaia di account attivi” dell’agenzia di stampa e organo di propaganda dello Stato islamico, Amaq, sono stati attaccati. L’operazione è stata coordinata da Europol, ha coinvolto 12 Stati membri, 9 piattaforme social, ed è stata sostenuta da Eurojust, sotto la guida della Procura federale belga e della polizia federale delle Fiandre orientali.

LE AZIONI DI CONTRASTO

Eric Van Der Sypt, portavoce della procura federale, responsabile del terrorismo, ha confermato il vasto attacco informatico senza fornire dati. “Per il momento li abbattiamo”, ha dichiarato, “ma non siamo ingenui, nel 2018 un primo attacco informatico non ha impedito loro di tornare”. La procura federale belga, ricorda Le Soir, era già stata coinvolta in un attacco informatico ad Amaq nel 2018, ma l’agenzia, i siti e i conti annessi erano stati riattivati poco dopo. “Ci ha sorpreso un po’ ed è per questo che abbiamo cercato di fare meglio questa volta”, ha spiegato ancora Van Der Sypt.

I PRECEDENTI

Nell’agosto 2016 un’operazione simile era stata sferrata da Europol contro l’app di Amaq e la sua infrastruttura web. Una seconda operazione era stata portata avanti nel giugno 2017 e una terza, come detto, nell’aprile 2018. Quest’ultima aveva abbattuto l’infrastruttura web dell’Isis, costringendo la propaganda a contare soprattutto su social media e applicazioni di messaggistica.

LA TASK FORCE USA

Di azioni cyber contro l’Isis – ha raccontato Formiche.net – si occupa da tempo il Pentagono con la Joint Task Force Ares. Il gruppo di esperti informatici guidato dal Cyber Command (al quale l’amministrazione Trump ha concesso maggiore autonomia offensiva) ha come obiettivo quello di condurre operazioni congiunte e con gli alleati per fermare sistemi e reti impedendone un uso malevolo, ma anche per introdurvisi e scoprire di più sulla rete jihadista, su come opera e sui suoi flussi di denaro.
Della task force si era parlato nel 2017, quando era balzata alle cronache l’operazione segreta – denominata Glowing Symphony – condotta nel 2016 su scala globale dal Pentagono per sabotare la diffusione della propaganda online dello Stato islamico, e mirata a ottenere le credenziali di accesso dell’account di amministratore dei servizi di hosting, per cancellare file, video, cambiare password e fermare così, almeno temporaneamente, la diffusione di determinati contenuti che si trovavano fisicamente in 35 Paesi, molti dei quali alleati Usa. Una strategia, questa, recentemente approfondita da testate e think tank americani attraverso l’analisi di documenti ottenuti con il Freedom of Information Act (il Foia).

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