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“Io sono Giorgia”, o del sovranismo al tempo di Tik Tok secondo Antonucci

Nel corso dell’ultima settimana abbiamo visto tutti almeno una volta “Io sono Giorgia”, il filmato, con tanto di challenge lanciato dall’influencer Tommaso Zorzi, in cui il discorso politico di Giorgia Meloni tenuto nel corso della manifestazione di Piazza San Giovanni dello scorso 19 ottobre, viene presentato con una base di elettronica, con finalità ironiche.

Nei giorni successivi filmati differenti, tratti da videoselfie, film, serate in discoteca, spezzoni di programmi televisivi hanno cominciato a circolare prima su TikTok, il nuovo social a base di video e musica, frequentato dai più giovani, per transitare in modo crossmediale su Instagram e Facebook.

Su Twitter, un thread molto interessante di @Martina_Carone, esperta di comunicazione politica e coordinatore dell’Agenzia Quorum, ha posto in luce la dimensione ambivalente del fenomeno. Da una parte, la viralizzazione della videochallenge sui social nel rafforzamento implicito del messaggio di Giorgia Meloni, anche con il supporto attivo di comunità di utenti che si reputano ideologicamente distanti dai contenuti dello stesso. Inoltre, la circolazione sui social con finalità di intrattenimento, ottiene l’effetto di suscitare l’attenzione dei pubblici più disaffezionati alla politica sulla figura di Giorgia Meloni. Di tale mediatizzazione involontaria, Giorgia Meloni sembra beneficiare nei sondaggi politici recenti. Il famoso “purché se ne parli”, alla base di ogni forma di pubblicità, che, in questo contesto avviene a costo zero per la beneficiaria dell’iniziativa mediatica. Dall’altro lato il “dirottamento” del contenuto ideale delle parole di Meloni, nel momento in cui esse vengono abbinate a video della comunità Lgbtq, ne rende paradossale il senso e ne inverte la direzione: se tutti possono abbinare il proprio video danzante alle parole e alla musica di Giorgia Meloni, dalla segmentazione sociale, religiosa, ideale richiamata dalla leader politica si passa ad un universalismo dissacrante, in una inversione ad U di senso, caratteristica della post-modernità dei social.

Insomma la creatività sui social ha raggiunto nuove vette con il fenomeno Io sono Giorgia, che combina la novità del supporto social (Tik Tok, invece dei consueti Instagram, Fb, Twitter), la dimensione musicale orecchiabile, l’aspetto di coinvolgimento delle comunità nella dimensione giocosa del videochallenge, il ruolo pubblico di un influencer e la replicabilità all’infinito delle risposte del popolo della rete alla sfida proposta. Era dai tempi della versione italiana dell’ice-bucket challenge che non si riscontrava un coinvolgimento su un tema delle community in rete e offline e Giorgia Meloni ha colto l’occasione di moltiplicarne l’effetto, segnalando in un suo post l’effetto di Io sono Giorgia sui sondaggi di FdI di questa settimana.

Come valutare questo fenomeno mediatico? In termini filosofici, il rinvio a “Differenza e ripetizione” di Deleuze è evidente: il divario tra l’essere e il linguaggio di Giorgia Meloni e l’apparire dei video abbinati ad esso sottolinea la diversità delle posizioni, nella ripetizione infinita delle risposte al video originale. La differenza rispetto al discorso politico originale di Meloni viene interpretata dai replicanti al video come un atto creativo, di affermazione-rivendicazione della propria alterità. Il problema si dovrebbe porre tuttavia, non per quanto concerne l’atto creativo, ma per la ricezione dello stesso, specialmente in un contesto di diffusa abulia politica. In termini mediatici, la capacità dei contenuti creati dagli utenti dei social di segnare le agende collettive di cittadini, stampa e politici non è sicuramente in discussione nel breve periodo. Essa è ormai un fenomeno affermato secondo il paradigma di Castells dell’auto-comunicazione di massa, in cui tutti noi costruiamo, grazie al supporto collettivo della narrazione sui social, cornici di senso condiviso a fronte di un mondo complesso e frammentario.

Il vero tema su cui riflettere è la misurazione dell’impatto di questi fenomeni sull’unico, indiscutibile parametro di riferimento per il consenso politico: il voto. Fino a quando non si sarà in grado di trovare indicatori univoci relativi all’impatto della comunicazione politica sui social sulla reale persuasione dei cittadini elettori in un contesto di depoliticizzazione, astensionismo, sfiducia verso i partiti e consumo rapido dell’efficacia politica dei leader, possiamo continuare a fruire della dimensione ludica dei social.

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