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Legge elettorale, governo e opposizione accelerano. L’ombra del voto anticipato

La battaglia sulla legge elettorale rientra nel vivo. Mentre il governo è alle prese con l’addio di Arcelor Mittal all’ex Ilva e le cicatrici che rischia di lasciare sul sistema Paese c’è chi nella maggioranza già guarda avanti e torna alla carica su una causa che sembrava temporaneamente passata in cavalleria. In un inedito giovedì di fuoco in Parlamento è il capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci a riaccendere i riflettori. Depositati i testi sulle riforme costituzionali affiancate al ddl sul taglio dei parlamentari, ha annunciato in aula l’ex renziano, “ora bisogna passare alla legge elettorale”. Le lancette corrono. “Le condizioni sono note: una condivisione che deve essere offerta anche alle minoranze, ma i tempi devono essere veloci”.

L’AVVISO DI SFRATTO DI CALDEROLI & CO

Ordinaria amministrazione o brusca accelerazione? Per i leghisti non c’è dubbio: l’urgenza del capogruppo dem è il segnale inequivocabile che il governo ha i mesi contati. A dettare un’ipotetica tabella di marcia verso le urne anticipate è il senatore del Carroccio Roberto Calderoli. Già padre del Porcellum, è balzato di nuovo agli onori delle cronache patrocinando la causa del referendum maggioritario con cui la Lega di Matteo Salvini vuole lanciare l’assedio a palazzo Chigi (senza dover corteggiare i Cinque Stelle in caso di vittoria). “La richiesta di massima velocità per approvare una nuova legge elettorale da parte del capogruppo Dem al Senato, Marcucci, sommato a tutto quanto sta bollendo in pentola in questi giorni, a cominciare dalla bomba industriale e sociale dell’ex Ilva, ha un solo significato: ovvero che a marzo si vota”.

Calderoli non è l’unico a suonare l’allarme urne anticipate. Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, si accoda al requiem: “il governo politicamente finisce oggi”. Perfino il democristiano Gianfranco Rotondi si sbilancia e su twitter cinguetta: “L’Ilva si porta via il governo”. Nella maggioranza nessuno parla di elezioni. Di legge elettorale sì. Tant’è che, ammette il ministro per i Rapporti con il Parlamento in quota M5S Federico d’Incà, martedì prossimo il governo le dedicherà un intero vertice.

IL PRESSING DEL CARROCCIO

Via Bellerio è pronta a dar battaglia. Il referendum per il maggioritario annunciato da Salvini dal palco di Pontida non è in discussione. L’iter si è rivelato più tortuoso del previsto. A cominciare dal test dei Consigli regionali (la Costituzione richiede il voto a maggioranza di cinque). Di sì ne sono arrivati ben otto (Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Sardegna Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Liguria) e la Lega ha potuto depositare il quesito del referendum in Cassazione.

Oggi ci è tornata, costretta dalla stessa Corte ad apportare alcune modifiche formali. Un passaggio apparentemente innocuo, che invece si è mostrato ostico. In Veneto, nella roccaforte leghista di Luca Zaia, il “voto in più” a lungo auspicato da Salvini non è arrivato e la revisione formale del quesito non è passata, per un voto in meno. Un piccolo inciampo che però racconta una strada non tutta in discesa per una causa che già ha creato diversi mal di pancia nel centrodestra, soprattutto in Forza Italia di Silvio Berlusconi, poco attratta dall’idea di un “maggioritario all’inglese” sventolato dai leghisti.

PROPORZIONALE VS MAGGIORITARIO: CHI VUOLE COSA?

Gli opposti piani sono chiari a tutti, fuorché ai proponenti. Pd e Cinque Stelle vogliono sostituire il Rosatellum (dal dem Ettore Rosato, ndr) con una legge proporzionale. Quale? Difficile a dirsi. Al Nazareno due sono le opzioni più quotate. La prima recupera l’idea di fondo dell’Italicum, la legge-simbolo dell’era renziana cui ha lavorato Roberto D’Alimonte e che è stata sonoramente cassata dalla Corte Costituzionale. Ieri come oggi il problema rimane il ballottaggio nazionale di lista, spiega a Formiche.net Alfonso Celotto, professore di Diritto costituzionale all’Università di Roma Tre, “non può alterare la rappresentatività”.

IL COMMENTO DI CELOTTO (ROMA TRE)

Tutto sta nella definizione del premio di maggioranza. “Non deve essere sproporzionato – dice il costituzionalista – nel 2013 il premio del Porcellum ha permesso al Pd di avere il doppio della rappresentanza del Pdl pur avendo qualche centinaio di migliaia di voti in più”.

L’altra ipotesi sul tavolo dem è un proporzionale con sbarramento, sulla cui natura però non c’è accordo. “L’Italia è nata col proporzionale, dal 1946 al 1993 ha garantito la rappresentatività ma senza correttivi è un problema per la governabilità”, dice Celotto. Su Italia Viva rimane un grande punto interrogativo. I renziani, un tempo campioni del maggioritario, ora chiedono un proporzionale con sbarramento basso (si mormora un 4%), troppo basso per il Nazareno.

Sulla sponda opposta c’è il piano leghista per un “maggioritario all’inglese”. L’idea di Calderoli è di intervenire chirurgicamente sul Rosatellum eliminando la parte proporzionale. Un piano, spiega Celotto, che ha poche chance di successo. “Mi sembra difficile. Il maggioritario all’inglese richiede un sistema bipartitico, la politica italiana oggi si adatterebbe meglio al vecchio Mattarellum, che era solo parzialmente maggioritario perché spingeva i partiti a coalizzarsi prima del voto”. Sul piano leghista incombe l’incognita del referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. La raccolta firme è iniziata, al Senato è già a quota 50 (compresi alcuni grillini). “Entro il 12 gennaio si deve decidere. Se il referendum si fa, il taglio dei parlamentari slitta avanti e in caso di urne anticipate verrebbe eletto lo stesso Parlamento di sempre”.

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