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Da Vespa Salvini gioca al moderato. Prove tecniche di governo?

Se lo saranno chiesto, i moderatori, che senso avesse “moderare” Matteo Salvini. Alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa, “Perché l’Italia diventò fascista” (Mondadori)”, il direttore del Giornale Alessandro Sallusti e l’editorialista del Corriere della Sera Antonio Polito si sono trovati al tavolo un leader del Carroccio che più moderato non si può.

Sarà stata la location, l’elegante residenza Ripetta, a due passi da piazza del Popolo. O il pubblico insolito, composto di dame dei salotti romani del calibro di Marisela Federici e vip come Pippo Franco. Magari anche l’aquila littoria alle sue spalle, sulla maxi-locandina dell’ultima fatica del conduttore di Porta a Porta, cupo richiamo ai rigurgiti di estrema destra che la sinistra accusa Salvini di sopportare, a malavoglia, a fianco della sua Lega.

Accuse rispedite al mittente, “Sono sicuro che con Salvini ci sarà un governo con più diritti, io sono per ampliare i diritti, non per toglierli” dice lui a scanso di equivoci. “Con me – dice sorridendo – rischi per la democrazia non se ne dovrebbero correre”. Anzi, fosse stato per lui avrebbe dato alla senatrice Liliana Segre la cittadinanza onoraria che il comune leghista di Biella le ha voluto negare (per poi offrirla, senza successo, a Ezio Greggio), “io le darei tutti i riconoscimenti del mondo”.

Volto rilassato, tono pacato, l’ex vicepremier osserva dagli spalti i guai del governo rossogiallo, dall’Ilva al nuovo caso Alitalia, pronto a rientrare in campo nel prossimo futuro, ma non troppo prossimo. “Non penso che andranno oltre qualche mese” – è la diagnosi impietosa del leghista. Fra le righe, però, traspare la consapevolezza che terremotare in fretta e furia il governo, ora, forse non conviene. Muoiano i Filistei, più avanti, senza Sansone. Dopotutto ereditare i postumi di questa finanziaria e delle due più grandi crisi industriali del Paese negli ultimi vent’anni non è un grande affare.

Nel frattempo è bene prepararsi. La Lega ha scalato la vetta e, sondaggi alla mano, non ha intenzione di scendere a breve. L’esperienza di governo però ha insegnato che per stare nella stanza dei bottoni serve qualche piccolo compromesso. Ecco che allora il Carroccio, ormai decisamente collocato alla guida del centrodestra, anche perché vederlo con Matteo Renzi, ha garantito Salvini, “è come vedermi con la maglia dell’Inter”, si mostra più mansueto.

“Quando chiesi pieni poteri, intendevo nel rispetto della Costituzione. Chiedevo un mandato popolare, senza trattare ogni giorno con Toninelli, Bonafede, mondi diversi, altre lingue”, chiarisce il segretario. E poi ancora: “Grillo è pericoloso – dice – con una piattaforma da Playstation comanda e condiziona una delle forze di governo. Con me non si rischia”.

A Bruxelles il re-styling è ancora più urgente. Non c’è dirigente di via Bellerio, a cominciare da Giancarlo Giorgetti, che non si sia accorto del cortocircuito europeo. Arrivata in gran spolvero con una pattuglia record di europarlamentari, la Lega è rimasta nell’angolo sovranista, fuori dai processi decisionali. Complice il voto contrario all’elezione della popolare Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue.

Tornare indietro non si può, non nell’immediato. Né, almeno ufficialmente, è pensabile oggi un’entrata della Lega nel Ppe, anche se da tempo i rispettivi sherpa sono al lavoro. Anche di questo Salvini ha parlato in un tête-à-tête con Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli, “un caffè”, sminuisce lui da Vespa, prima che l’ex premier decollasse per il Congresso del Ppe a Zagabria.

Alla residenza Ripetta Salvini garantisce che “ci saranno provvedimenti utili al nostro Paese anche a firma Ursula Von der Leyen, i voti della Lega arriveranno”. Quella “signora tedesca”, come la definiva lui lo scorso luglio, ora ha un certo fascino.

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