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La persona, la comunità, la famiglia e l’economia reale per la rinascita della storia

Il premio Nobel 2001 per l’economia, Joseph Stiglitz, si è recentemente cimentato sul rapporto tra la fine del neoliberismo e la rinascita della storia. La tesi è sempre più maggioritaria e sempre più inconfutabile. La fede neoliberista, dominus assoluto degli ultimi quarant’anni, secondo la quale un mercato onnipresente, senza né limiti né confini, avrebbe assicurato a livello globale crescita, prosperità, benessere e democrazia, ha palesemente fallito tradendo le sue aspettative.

La crescita ha rallentato e dei suoi, seppur minimi, frutti hanno beneficiato solo ed esclusivamente le élite ai vertici più alti della piramide economica. I cittadini comuni ai quali, nel corso di questi quarant’anni, sono stati ripetutamente chiesti sacrifici fatti di riduzioni di lavoro e di retribuzione e, contemporaneamente, di ogni tutela sociale, si sono sentiti ingannati e la loro rabbia è cresciuta esponenzialmente. La crisi economica è diventata, così, anche la crisi della democrazia sia in Europa che nel resto dell’Occidente.

Probabilmente la crisi del neoliberismo nasce dal fatto che la globalizzazione della quale il neoliberismo è stato insieme causa e conseguenza ha, via via, tolto agli individui e alle imprese il controllo diretto di una parte sempre maggiore e sempre più importante del proprio destino. A questa deresponsabilizzazione si è poi aggiunta la convinzione che la crescita, e con essa le promesse di benessere e prosperità generalizzata, fosse fondata su determinati modelli economici scientifici come tali infallibili e neutrali.

La stessa crisi finanziaria (e poi anche economica) scoppiata nel 2007 che i modelli “scientifici” non sono stati in grado di prevedere, è stata facilmente derubricata come fosse un evento “mostruoso”, come un’inondazione che capita ogni “cinquecento anni” e che, come tale, è del tutto imprevedibile tanto che alcuni sostenitori tra i più radicali e strenui difensori del neoliberismo continuano a negare che proprio la totale deregolamentazione e spersonalizzazione alla base di questo modello sono stati cruciali nell’alimentare e accrescere la crisi. Insomma l’econometria al potere ha sostituito la persona e le sue capacità di regolare l’economia e la società. Il neoliberismo si è imposto in modo tutt’altro che liberale ma come una vera e propria ideologia dimenticando che la società è un sistema complesso in continua evoluzione e nel quale gli uomini imparano, creano e regolano.

Da dove riprendere il cammino? Semplicemente da dove il neoliberismo ha fallito quando ha messo da parte la persona. Nel 1967, Paolo VI con la Populorum Progressio, avevo ben visto i pericoli del neoliberismo prima ancora che questo dispiegasse le proprie vele: «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo, fino a comprendere l’umanità intera».

L’attività finanziaria deve tornare a essere al servizio dell’economia reale e non viceversa per il semplice, anche se oggi non più scontato, motivo che non esiste un’attività che non abbia origine dall’uomo. L’economia reale è tale perché frutto del saper fare della persona e, dunque, caratterizzata dall’etica, dalla giustizia, dalla dignità, elementi frutto del pensiero e della capacità che non possono, né mai potranno, sostituire l’uomo quale unico portatore di fatica e passione, di progettualità e di genialità. L’economia per essere sana non può essere svincolata dal “cosa” e dal “come” essa produce.

Rimettere al centro la persona significa, come Stiglitz auspica, rendere possibile una rinascita della storia, unica strada percorribile per salvare il mondo e la democrazia e ciò attraverso la riscoperta dei valori di libertà e conoscenza. Ci permettiamo di obiettare che, se tutto questo è necessario, non è sufficiente. L’uomo, se considerato singolarmente come individuo, è naturalmente portato a ripercorre quel percorso fatto di deregolamentazione, deresponsabilizzazione e di ricerca di un profitto individuale semplice da raggiungere quanto eticamente inaccettabile.

Alla riscoperta della persona va, dunque, accompagnata la riscoperta della società a partire dalla sua forma più semplice e più naturale che è la famiglia e, poi, la comunità di appartenenza sia essa territoriale che lavorativa.

Le forme associate rappresentano un potente antidoto perché mettono in evidenza e rendono possibile la realizzazione della persona come risorsa proprio perché inserita in un contesto fatto di altre persone. L’evoluzione del sistema si realizza, grazie ad esse, verso una compiuta assunzione della responsabilità, genera un mercato più civile e competitivo nel quale l’uomo, riprendendo in mano il proprio destino, è in grado di farsi carico, consapevolmente, del destino del mondo intero.

 



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