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Così sull’Ilva la giustizia ha preso il posto della politica. Parla D’Alò (Fim-Cisl)

Entro pochi giorni il governo dovrà trovare l’intesa sul piano industriale con Arcelor Mittal, il gestore dell’Ilva che un mese fa ha annunciato di voler abbandonare l’acciaieria di Taranto giustificando l’addio, ufficialmente, con lo stop dell’esecutivo allo scudo penale per i dirigenti Mittal. La deadline fissata dal tribunale di Milano, teatro della guerra legale (non ancora scoppiata) tra Palazzo Chigi e il gruppo franco-indiano, è il 20 dicembre. Per quel giorno i giudici vogliono un accordo di massima tra le parti (per il governo sta negoziando Francesco Caio, ex ceo delle Poste), pena la consapevolezza che il banco salterà. Lo scontro ruota intorno alla produzione: il governo vuole 8 milioni di tonnellate prodotte al 2023, per Mittal ne bastano 6. Il fatto è che con 8 milioni di tonnellate, nessun lavoratore andrebbe a casa, con 6 milioni di tonnellate in 6 mila andrebbero a casa.

In tutto questo la giustizia italiana ha sganciato la bomba, negando per mezzo del Tribunale di Taranto, la proroga chiesta dai commissari per l’uso dell’Altoforno 2 (da parte di Arcelor Mittal) da utilizzare per gli ulteriori lavori di sicurezza, nonostante la procura, 24 ore prima, avesse espresso parere favorevole alla proroga. A questo punto, con la scadenza per mettere a norma l’Afo2 che resta fissata al 13 dicembre, l’impianto rischia ora il nuovo sequestro. Con tutte le conseguenze del caso sui negoziati. Una situazione che spaventa i lavoratori, come spiega in questa intervista Valerio D’Alò, membro della segreteria nazionale della Fim Cisl.

D’Alò, il tribunale è di nuovo intervenuto a gamba tesa sull’Ilva, in un momento in cui si cerca l’accordo governo-Mittal…

La giustizia rappresenta una delle due forze principali intorno a Taranto. Da una parte c’è il governo e la questione industriale, dall’altro quello giudiziario. Gli alibi per Mittal affinché possa andarsene sono essenzialmente due: lo scudo penale e l’Altoforno 2. Adesso quest’ultimo, vista la decisione del Tribunale diventa particolarmente forte.

E quindi?

Quindi diventa indispensabile capire quale sia l’atteggiamento del governo, che da questo momento ha in mano l’intera partita. Se non altro dall’atteggiamento del governo dipenderà la possibilità o meno di arginare la prorompenza dei giudici. In tutto questa c’è poi anche un aspetto più prettamente politico. E cioè che abbiamo visto consumarsi una bugia di Di Maio, il quale aveva promesso fin da subito un’interlocuzione del governo con la procura che potesse disinnescare certe scelte dei giudici. Ma i risultati li abbiamo visti…

La giustizia spesso ha agito fuori tempo massimo nella vicenda Ilva. Un’impressione sbagliata?

Certamente la decisione dei giudici complica di molto le possibilità di una risoluzione della crisi dell’Ilva. Però c’è anche da dire questo. E cioè che spesso e volentieri la legge colma i vuoti lasciati dalla politica, è così dal 2012. I tribunali arrivano laddove non è arrivata la politica industriale. L’errore commesso in questi anni dalla nostra classe dirigente è stato quello di demandare alla giustizia e ai tribunali la nostra politica industriale. Se si creano dei vuoti, qualcuno li deve colmare prima o poi. E se non li colma un soggetto titolato, ovvero la nostra politica, finisce per farlo chi segue semplicemente le leggi. I tribunali hanno fatto questo, hanno preso decisioni che la politica non è stata in grado di prendere. E l’Ilva lo dimostra.

Tutto chiaro, ma adesso mancano pochi giorni e poi salta tutto. Che si fa?

Se non si fa l’accordo, ci sarà forse un decreto del governo che riporti a Taranto le stesse condizioni che c’erano prima dell’annuncio dell’addio di Mittal. E dunque un decreto con cui rimettere a norma e in sicurezza l’Altoforno 2, per esempio. Un provvedimento che garantisca la produzione e uno scudo penale ripristinato che non possa dare a Mittal scampo: come a dire, ora hai tutte le condizioni per rimanere e produrre, se te ne vai ne paghi le conseguenze.

C’è sempre lo spettro di una nuova gara, nel 2020 però…

Sì, questo nel momento in cui Mittal decide di andarsene anche a costo di pagare le penali.

E se interviene lo Stato, nel capitale di Ilva?

Dobbiamo capire che cosa significa. Se lo Stato deve mettere i soldi che doveva mettere il privato allora non va bene. Ma se invece lo Stato si mette a fare il controllore allora è un altro discorso. Il testo dell’accordo con i sindacati prevede esattamente questo, quindi sarebbe certamente qualcosa di molto più positivo rispetto alla prima ipotesi.

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