Torniamo in queste pagine con la recensione di un libro che affronta in profondità una delle tematiche più attuali dei nostri tempi: Cittadini ai tempi di Internet di Alfonso Fuggetta (ed. Franco Angeli).
Comincio questa recensione citando una frase che non condivido: “La politica è per definizione ricerca del consenso” (cap. 3, par. 3.5). Credo piuttosto, volendo utilizzare la categoria del “consenso”, che la politica sia la “costruzione del consenso”. Ovvero la definizione delle priorità da affrontare, la costruzione di una visione delle cose e delle relazioni tra le persone (mi verrebbe da dire una “visione del mondo”) che si concretizza solo col consenso, ovvero nei casi peggiori attraverso la forza. Ed una tale visione ha bisogno di una dimensione temporale e così, nel cap. 4 (par. 4.6) del suo libro, Fuggetta ci illustra con illuminante precisione che “molti dei problemi che si evidenziano nel nostro modo di discutere e ragionare risiedono nell’incapacità di articolare opzioni e proposte organiche che sappiano indirizzare i diversi aspetti di un problema rispetto all’asse temporale”.
Qui Fuggetta non si riferisce ad una dimensione individuale, ma collettiva, politica. È come se, mi scuseranno gli studiosi, la politica — ma forse tutti noi in questo tempo — avesse un difetto di “infuturazione”. Una incapacità a immaginare effetti e conseguenze di una scelta sull’asse temporale.
Per dirla anche con le parole del politologo tedesco Claus Offe: “Noi continuiamo a fare cose di cui è evidente che in futuro, a posteriori, ci dovremo pentire — e questo tanto sul piano tecnico-materiale quanto su quello della prospettiva morale”. Luigi Einaudi volle titolare la sua prima “predica inutile” “Conoscere per deliberare”. Si domanda lo statista: “Giova deliberare senza conoscere? Al deliberare deve, invero, seguire l’azione. Si delibera se si sa di potere attuare; non ci si decide per ostentazione velleitaria infeconda”. E del resto la collana nel quale è stato pubblicato il libro di Fuggetta si intitola “OrientaMenti, Conoscere per decidere”.
Oggi da questo punto di vista il libro di Fuggetta è intriso di esempi che illustrano come in molti casi non solo la politica dimostra di “deliberare senza conoscere”, ma soprattutto ha fatto della sua “ostentazione velleitaria” la sua bussola. Ma non solo per questo il contributo di Fuggetta è un “manifesto”. Lo è perché propone alcune questioni come delle vere e proprie questioni programmatiche per il cittadino, per la collettività, che decide di affrontare non soltanto il “digitale”, ma più esattamente il futuro in maniera consapevole. E Fuggetta propone le questioni programmatiche proprio come si fa con un “manifesto”, centrando le questioni senza annoiare il lettore, qualunque lettore. Perché se c’è un pregio di questo libro sono la schiettezza (tratto caratterizzante di Fuggetta) e la chiarezza espositiva delle idee, che rendono agevole la lettura per chiunque.
Così, chiunque legga il suo libro, capisce che il grande “cruccio” di Fuggetta è per lo stato in cui versa il sistema scolastico. Il luogo della formazione della consapevolezza e della capacità critica per eccellenza, il luogo dove, fuori da ogni dimensione specialistica, si costruiscono le funi dell’ascensore sociale. Il luogo dove lo Stato, nella sua dimensione politica, dovrebbe pienamente attuare la seconda parte dell’articolo 3 della Costituzione. Infatti, dove se non nella definizione della programmazione scolastica, ma soprattutto delle strategie formative, vanno piantati i semi utili a rimuovere degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese?
Non è forse l’individuo con le sue capacità, le sue inclinazioni, col suo talento che assume quella consapevolezza nell’era digitale, e che con la sua azione come genitore, come lavoratore, come imprenditore fa progredire la società intera? Fuggetta ci ricorda costantemente che siamo immersi, e lo saremo sempre di più, in un diluvio di dati e informazioni, quante volte lo abbiamo sentito dire, ma quanto poco lo percepiamo veramente. Ed è per questo che Fuggetta aggiunge una riflessione essenziale: la conoscenza è “un’elaborazione dei dati e delle informazioni a disposizione che permette di interpretare e guidare il nostro operare”.
Se nei secoli passati, l’ignoranza non era l’unico limite allo sviluppo sociale della persona, il contadino difficilmente ascendeva, non dico al trono ma ad una condizione di vita dignitosa e tranquilla. Non solo perché “ignorante”, incapace cioè di elaborare dati e informazioni oltre a quelli utili alla sua quotidiana attività, ma soprattutto perché vi erano regole che incatenavano il contadino alla sua condizione sociale.
Oggi è diverso. Senza qui affrontare tutte le cause per cui l’ascensore sociale sembra essersi fermato, è evidente che senza conoscenza, l’individuo, in quanto genitore, lavoratore, imprenditore, non ha gli strumenti essenziali per decidere. Senza quella capacità di elaborare i dati e le informazioni, senza avere un minimo di dubbio nel distinguere i dati reali da quelli inventati, chiunque avrà problemi nel prender decisioni corrette per la propria vita. Quindi da questa incapacità discende l’effettivo esercizio delle libertà individuali e della democrazia. Insomma da questa incapacità discende anche un minor benessere per i cittadini.
Ecco perché l’ignoranza oggi è il muro da abbattere per essere pienamente anzi consapevolmente, come ci suggerisce Fuggetta, cittadini nell’era digitale.
Infatti, se la conoscenza è un ingrediente utile per non credere ad un dato o ad una informazione che conferma sempre e solo il proprio convincimento, la consapevolezza è necessaria, perché disvela sempre il proprio limite cognitivo. Oggi parliamo di echo chamber, ma già Francis Bacon nel XVII secolo sosteneva che un uomo una volta che si è formato una opinione, userà tutti gli strumenti per sostenere quell’idea, nonostante le tante evidenze contrarie.
Sempre sulla dimensione della politica e del consenso va fatta una riflessione sul difetto di “infuturazione” da parte della politica che ha come conseguenza lo smarrimento del senso della complessità e dell’incapacità di una proposta sistemica. La politica è smarrita in una costante pratica della quotidianità perché solo il consenso immediato, Fuggetta parla della ricerca del “quick win”, consente l’autoriproduzione della posizione (personale) raggiunta.
È così che la politica fugge dal corso della Storia, per correre (inutilmente) sulla ruota della cronaca. Le decisioni semplicistiche non solo non risolvono i problemi, ma ne banalizzano la percezione. E questa incapacità di percezione impedisce alle persone di misurarsi coi problemi. Ed è esattamente per questo che chiunque può assurgere a solutore di ogni cosa, mentre l’idea che chiunque possa fare qualunque cosa, che il merito, lo studio la competenza non contino nulla — “questo lo dice lei” — prende il sopravvento. La mediocrità diventa metodo.
Ma se come ci ricorda Fuggetta, oggi il digitale permea ogni aspetto della vita, ogni decisione va adottata prefigurandone gli effetti, nei mercati e nella concorrenza, nelle relazioni sociali, nell’ambiente sul lungo periodo. Persino l’etica è una questione che ritorna con insistenza, ponendosi nel tempo dell’innovazione tecnologica come questione politica e non solo personale.
Siamo in un tempo di passaggio dove le decisioni vanno assunte con metodo rigoroso. Le scelte del policy maker avranno effetti che non sempre possono essere agevolmente corretti. Per questo servono, come ci ricorda Fuggetta, metodo, rigore e conoscenza.
Il libro che ha scritto Fuggetta è un ottimo contributo al dibattito quindi sul rinascimento della politica affinché questa ritorni a costruire consenso sui grandi progetti e sulle grandi visioni. È un libro ispirato dall’impegno civile del suo autore, un impegno che Fuggetta dimostra quotidianamente anche sui social network. Un libro che, lo dico senza timore di sbagliare, dimostra tutto l’amore di Fuggetta per la politica.