Gregoretti, regionali e Libia. L’ex sottosegretario al lavoro Claudio Durigon (Lega) cerchia in rosso questi tre temi, su cui l’azione del governo, osserva a Formiche.net, è stata deficitaria. Un passaggio, quello del deputato leghista, che non solo si inserisce nella strategia dell’opposizione targata Salvini, ma che si intreccia con l’attualità di tre casi che in pochi giorni potrebbero avere effetti specifici proprio sull’esecutivo.
Mentre Matteo Salvini chiede di essere mandato a processo per la Gregoretti, la maggioranza minaccia di non votare. Che Italia emerge dalla gestione di questa vicenda?
Siamo di fronte ad una maggioranza che ha paura di votare un provvedimento ingiusto, perché è oggettivo che Salvini ha fatto gli interessi degli italiani e del governo, un governo che era a conoscenza di tutto ciò che stava accadendo. Dire oggi che si è trattato di un’azione personale solo dell’ex vicepremier, significa voler prendere in giro gli italiani, con l’aggravante di voler spostare la votazione sulla Gregoretti per timore delle conseguenze delle regionali. Giudico incredibile il comportamento dei nostri ex alleati di governo, anche perché continuano a sostenere che il premier Conte fosse all’oscuro di tutto. E se ha fatto finta di non saper nulla, allora mi chiedo che ruolo di garanzia abbia svolto in quell’anno e mezzo.
Gregoretti e Diciotti sono sullo stesso piano?
Non ci sono differenze tra i due casi, eppure siamo in presenza di persone che tentano con un processo di mettere in difficoltà la crescita esponenziale di Salvini. Sono armi spuntate, che gli italiani conoscono bene però e si trasformeranno in un boomerang.
A 20 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi la giustizia è ancora terreno di aspro scontro: che segnale offre la politica nostrana, non solo all’elettorato ma anche alla comunità internazionale?
È questo il vero dramma italiano. Aggiungo che l’appetibilità del nostro mercato è vanificata dalla troppa burocrazia e dalla lentezza della giustizia su cui si abbatte la demagogia del M5S e del Pd con la mossa sulla prescrizione. Non abbiamo più un appeal internazionale. Ricordo che nel decreto legge fiscale è stato aumentato l’accantonamento da 5 a 8 anni per i documenti fiscali: c’è una tendenza alla iper burocratizzazione e non ad una facilitazione. Così non saremo appetibili all’estero.
Le regionali del 26 gennaio saranno decisive per il governo? E in che misura?
Saranno estremamente decisive. Sto affrontando questa campagna elettorale emiliana riscontrando il desiderio dei cittadini di trasformare il voto del 26 gennaio da regionale a nazionale, per molte ragioni: le troppe tasse presenti in finanziaria, le visioni politiche ed economiche deleterie, le non visioni governative. Tutti fattori che provocano una sfiducia totale da parte degli italiani. Il nostro Paese ha bisogno di stabilità e di un governo che faccia davvero gli interessi degli italiani.
Cosa pensa della revoca delle concessioni ai Benetton decisa da Di Maio? Si rischia un modello Caracas per l’Italia?
Si tratta di un tema che non va affrontato come uno spot elettorale, dal momento che se è pur vero che il caso Morandi è stato un caso eclatante che non dovrà mai più accadere, dall’altro non credo che una statalizzazione diffusa possa essere una soluzione. Lo Stato non naviga certo nell’oro. Se Ilva, Alitalia e Autostrade diventassero pubbliche sarebbe solo un male in questo momento. Per andare avanti occorrono investimenti privati, che però devono fare i passi giusti circa obiettivi e modalità di attuazione.
Oggi a Berlino la conferenza sulla Libia rischia di non decidere: come mai dopo il velato disimpegno trumpiano l’Italia non è riuscita a farsi regista del dossier?
Gli interlocutori italiani si sono purtroppo qualificati con la gaffe dei giorni scorsi, con una perdita di credibilità oggettiva. Stiamo sempre più perdendo terreno in questo dossier di politica estera, che non si può affrontare con tweet e promesse: il ministro degli esteri Di Maio non ha relazioni internazionali. Per questa ragione l’Italia pagherà pegno quando ci sarà la definizione del quadro in Libia. Premier e Farnesina sperano nell’Europa, ma il nodo è che non c’è una politica estera italiana.
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