“La chiusura dei porti è un tentativo di Haftar di condizionare i negoziati a Berlino. Tuttavia, potrebbe essere controproducente in quanto potrebbe rendere gli europei, che sono i maggiori consumatori di petrolio libico, molto turbati”, spiega a Formiche.net Arturo Varvelli, recentemente nominato alla guida dell’ufficio di Roma e Senior Policy Fellow, Consiglio europeo per le relazioni estere, ECFR. Una possibilità non indifferente se inquadrata all’interno dello sforzo che l’Ue sta tentando per recuperare terreno sul dossier, attraverso una super riunione internazionale che si terrà in Germania.
Domani, domenica, mentre la Conferenza di Berlino andrà in scena, “assisteremo alla sospensione delle attività in tutti i giacimenti petroliferi e quindi alla sospensione di tutti i terminal nella parte Est del paese”, dice il capo della tribù Zouaiya, Al Haliq Al Zawi, che ha radici nell’Est libico. È stato lui ad annunciare oggi la chiusura di porti e campi petroliferi dalla parte orientale della Libia spiegando che “il nostro movimento mira a prosciugare le fonti di finanziamento del terrorismo, bloccando le entrate petrolifere, e [per questo] vogliamo chiedere il ritorno della sede della compagnia petrolifera nazionale a Bengasi”.
Il leader tribale parla con le stesse parole che abitualmente usa l’uomo forte della sua regione, Khalifa Haftar, che — ci dice una fonte dall’altro lato dello schieramento — “è chiaro che ha spinto le fazioni territoriali che controlla abbia deciso la mossa sul petrolio per far saltare la conferenza di pace di Berlino”. Haftar dovrebbe partecipare alla riunione insieme ai rappresentanti del governo rivale, quello internazionalmente riconosciuto e con sede a Tripoli che lui da circa dieci mesi sta cercando di rovesciare col sostegno di un gruppo eterogeneo di sponsor esterni (su tutti Egitto ed Emirati Arabi).
Il portavoce della milizia haftariana aggiunge che la decisione sulla chiusura dei giacimenti “è puramente popolare”, sono stati “i cittadini” a volerla – le forze militari pro-Haftar “non interverranno se non per proteggere le persone nel caso in cui si trovassero ad affrontare un pericolo”, ha aggiunto il megafono dell’uomo forte dell’Est. La narrazione dice che lo shutdown petrolifero si leghi alla notizia dell’arrivo in Libia di un paio di migliaia di miliziani turcomanni, mossi dalla Siria su richiesta della Turchia per combattere gli haftariani. Uomini appartenenti a unità combattenti islamiste, costruite su impulso turco per combattere il regime assadista e ora utilizzate per il lavoro sporco.
Le tribù, dicono gli haftariani, non accettano le interferenze con cui Ankara vuol mettere mano sul dossier libico — seguendo un interesse strettamente legato al Mediterraneo, con particolare attenzione all’area orientale del quadrante.
In realtà, in un fronte dove ruotano non più di mille combattenti per parte (dato Unsmil) impegnati in tre turni, la loro presenza sarebbe visibile. E per ora non lo è. Sembra, secondo una fonte misuratina, che al momento siano acquartierati in tre capannoni dell’aeroporto della città-stato. Insieme ci sarebbero anche alcune forze speciali turche. In attesa degli esiti di Berlino.
Val la pena di inserire una nota: nel compound dello scalo ci sono anche trecento militari italiani che gestiscono un ospedale da campo e che sono finiti più di una volta prossimi al raggio dei bombardamenti haftariani, che lì cercano di mozzare le supply line turche.
Secondo le stime dell’Onu in Libia ci sono venti milioni di armi (tra pesanti e leggere) su sei milioni di cittadini. Secondo una fonte che monitora i passaggi di armamenti che arrivano sul suolo libico (sia via terra, che per mare e aria, nonostante l’embargo Onu) e che preferisce restare anonima, “quest’ultima settimana che ha preceduto la conferenza di Berlino c’è stato un apporto mai visto prima di nuove apparecchiature militari, arrivate su entrambi i lati per mano degli sponsor esterni”.
Un altro elemento che non rende proprio lineare il percorso in costruzione a Berlino — che dovrebbe basarsi proprio sul limitare al massimo la presenza di attori esterni sulla crisi, e soprattuto che questi diano sostegno armato ai fronti.