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Stop al petrolio e nuove armi. Il peso della guerra sui libici

“La situazione in Libia si sta complicando, c’è più preoccupazione” e con il blocco della produzione petrolifera tutto significa “togliere ossigeno alle persone”. È un commento che Claudio Descalzi, ad Eni, affida all’Agenzia Dire a margine della presentazione della società con l’Enea per la realizzazione del polo scientifico tecnologico DTT sulla fusione. “Non si possono affamare le persone — continua Descalzi — “[è] un problema per loro e per noi […] sono nostri colleghi e amici, che non hanno soldi per vivere”.

L’ad di Eni dice che “sara difficile tornare indietro”, perché si innescheranno vari problemi collegati alla chiusura dell’export petrolifero. La mossa è stata veicolata col fine di strozzare Tripoli dal signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, attraverso gruppi tribali locali. Un’operazione innescata sabato 18 gennaio, il giorno prima dell’incontro diplomatico di Berlino, con cui la Comunità internazionale ha provato a forzare una tregua.

“Il cessate il fuoco neanche è stato innescato e la diplomazia internazionale deve occuparsi costantemente di questo problema che riguarda con tanti effetti noi, ma che colpisce soprattutto la popolazione locale”, aggiunge Descalzi, che ha dimostrato più volte di avere una lettura molto lucida sulla situazione nel Paese.

La questione che riguarda i combattimenti in effetti è centrale. Lo scacco sul petrolio che ha anticipato il vertice tedesco era di fatto un segnale chiaro sulle intenzioni belligeranti di Haftar. La tregua decisa da Russia e Turchia il 12 gennaio, la cui implementazione è stata cercata a Berlino, è di fatto saltata. Scontri si registrano in varie aree dei fronti. Questa mattina quattro bambini sono stati uccisi da un razzo caduto nel cortile di una scuola a sud di Tripoli. E ci sono diverse indicazioni sull’arrivo in Libia di nuovi rifornimenti armati su entrambi i fronti.

Ieri un drone Wing Loong di fabbricazione cinese è stato abbattuto alla periferia di Misurata. Si tratta di uno dei velivoli con cui gli Emirati Arabi forniscono, fin del 4 aprile dello scorso anno, copertura aerea alla campagna haftariana per rovesciare il Gna, (acronimo del governo riconosciuto insediato dall’Onu a Tripoli). Il drone è stato probabilmente abbattuto da un sistema di interferenza elettronica, noti come jammer. Li hanno portati in Libia, su quel lato dello schieramento, i turchi. Ankara fornisce appoggio al Gna attraverso apparecchiature, armi, advisor militari e manovalanza armata (i circa tremila miliziani spostati dalla Siria).

La Turchia non difende solo Tripoli, ma si è piazzata anche a Zuwara (un fronte caldo) e a Misurata, il centro di protezione politica e militare della Tripolitania. Il drone emiratino abbattuto ieri probabilmente andava a colpire l’aeroporto misuratino, che è uno dei punti d’appoggio turchi. Val la pena a questo punto di dilungarsi in un inciso. In quello scalo che è stato già bombardato dagli haftariani nei mesi scorsi, si trovano circa trecento militari italiani che operano in un ospedale da campo. Nonostante questa presenza Roma non ha mai condannato apertamente le operazioni di Haftar. Il 20 novembre scorso, un drone Reaper italiano è stato abbattuto a est di Tripoli: probabilmente agganciato da un missile, oppure disturbato da un jammer. In quel caso a utilizzare i sistemi anti-aerei furono gli haftariani, che poi danzarono sui rottami. A fornire le apparecchiature in quell’occasione erano stati i russi. Pochi giorni dopo anche un drone americano era stato tirato giù. I russi erano sul lato di Haftar con un gruppo di contractor altamente qualificati, che però attualmente sembra si siano spostati molto in fondo alla seconda linea.

Ieri dalla costa di Tripoli è stata fotografata una fregata vicino a una nave da trasporto. Si trattava di un’imbarcazione turca che scortava un cargo diretto in Tripolitania con all’interno veicoli corazzati e carri armati. Nei giorni scorsi diversi voli di grandi aerei da carico di proprietà di compagnie dei Paesi dell’Est sono atterrati nelle basi aeree emiratine, per poi ripartire carichi verso la Cirenaica haftariana.

L’opzione militare per Ankara e Abu Dhabi non è affatto fuori discussione. Oggi la commissione “5+5” creata a Berlino da Gna e haftariani per la gestione della tregua non si è riunita. Il meeting doveva svolgersi a Ginevra, Haftar ha deciso di spostarlo per “questioni logistiche”.

(Foto: Twitter, @libyapro2)

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