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Autostrade, il governo salvi lo Stato di diritto. Parla Panucci (Confindustria)

Nulla più dell’incertezza uccide l’industria. Peccato, perché in Italia di industria ce ne sarebbe un gran bisogno, come ha peraltro ribadito l’Istat, proprio questa mattina. Il caso Autostrade è emblematico: ad oggi è impossibile conoscere il destino di un gruppo, Atlantia, controllante di Autostrade, che conta 30 mila dipendenti e gestisce 3.000 chilometri di rete viaria. Prima l’attacco alle concessioni post tragedia del Morandi (scadenza 2038) da parte del Movimento 5 Stelle, poi l’ipotesi di una maxi multa accompagnata da taglio dei pedaggi e nuovi investimenti a carico degli azionisti, Benetton in primis. Tutto evaporato nel giro di poche ore e dunque di nuovo revoca (qui l’intervista odierna al sottosegretario al Tesoro, Alessio Villarosa). Risultato? Downgrade di Fitch (ieri), possibile chiusura dei fidi e un miliardo perso in Borsa in tre sedute di fine anno. Azionisti, risparmiatori e lavoratori non devono essere di ottimo umore. Formiche.net ha chiesto un parere a Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria e numero due dell’associazione.

Panucci, come può un governo permettere che un segmento della nostra industria venga fatto a pezzi piano piano?

Lo scenario che si è delineato in questi mesi desta in effetti molta preoccupazione, che abbiamo peraltro espresso in diverse occasioni. Purtroppo, la discussione su questo tema delicatissimo continua a caratterizzarsi a livello politico. Mentre bisogna entrare nel merito della questione e separare le eventuali responsabilità economiche, da affrontare con il governo, da quelle penali, che invece vanno affrontate in sede giudiziaria.

E invece?

Invece su questa vicenda le valutazioni di natura tecnica ed economico-sociale sono passate in secondo piano, e credo che sia questo il motivo per cui il governo non sembra considerare le ricadute, anche di tipo occupazionale, che una decisione come la revoca della concessione potrebbe avere. E spiega anche le decisioni degli ultimi giorni, a partire dalle norme inserite nel Milleproroghe. Si tratta di misure che minano la certezza del diritto e la fiducia degli investitori, che invece sono elementi essenziali per un sistema economico bisognoso di investimenti come il nostro, anche al di là del caso specifico di Autostrade.

Le responsabilità di Atlantia sul Morandi sono emerse da alcune perizie e indagini. E gli stessi azionisti Benetton hanno fatto delle ammissioni. È più conveniente per Stato, cittadini e automobilisti sanzionare il gruppo, chiedere e ottenere un piano di investimenti su larga scala, o una revoca?

Una valutazione di questo tipo richiederebbe, appunto, una riflessione sul merito tecnico delle questioni. Partendo da un dato: in questa vicenda, lo Stato è parte di un contratto liberamente sottoscritto. Se oggi si ritiene che chi ha stipulato quel contratto non abbia fatto gli interessi della collettività e che quindi l’accordo sia squilibrato a vantaggio del privato, esistono gli strumenti affinché lo Stato stesso chieda e ottenga una revisione. Prima di tutto avviando un confronto con la controparte e poi inserendo, sempre nell’ambito del confronto, eventuali forme di risarcimento per ciò che è accaduto e maggiori garanzie di investimenti per il futuro, anzitutto in tema di sicurezza.

Ilva, Alitalia, Autostrade. Uno Stato così protagonista non si vedeva dai tempi dell’Iri. Allora che ne è, o sarà, della grande industria privata italiana che tutto il mondo (ancora) ci invidia?

Continuiamo a pensare che le soluzioni di mercato siano la migliore strada percorribile per assicurare efficienza nella gestione delle imprese e per evitare ripercussioni sui conti pubblici. Dobbiamo però essere consapevoli che le due pesanti crisi economico-finanziarie che hanno caratterizzato il primo ventennio del secolo hanno aperto un dibattito e uno spazio per nuove forme di intervento pubblico nell’economia. A partire dalla difesa di interessi e ambiti considerati strategici per i sistemi economici nazionali ed europei. Nei casi concreti, si tratta poi di declinare in modo corretto questi principi, selezionando gli interventi davvero meritevoli ed evitando di alimentare inefficienze. Se poi queste condizioni non sono rispettate, deve operare la sanzione del mercato, cioè l’esclusione dal suo perimetro delle imprese decotte.

Parliamo di crescita Panucci. Il 2019 si è chiuso con una manovra basica, essenziale, quasi di sopravvivenza. Ora bisogna tornare a correre…

Attivando anzitutto un grande piano di investimenti in chiave anti-ciclica, a livello europeo, dove l’Italia dovrebbe battersi per portare questo tema al centro del dibattito. In questo contesto, certamente le infrastrutture giocano un ruolo di primo piano. La nostra proposta è un piano da mille miliardi di euro, diviso per ciascun Paese, che sommato alle risorse di ogni singolo Stato, potrebbe determinare una grande operazione anti-ciclica.

C’è dell’altro?

Sì. Dovremmo poi selezionare alcuni precisi obiettivi di politica economica, tra cui l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, la qualificazione del capitale umano, la produttività, e declinare gli strumenti in grado di realizzarli. Infine, dobbiamo evitare di minare la già fragile fiducia delle imprese, con interventi come quello recente sulla materia penale-tributaria o dibattiti come quello che si sta aprendo in questi giorni su una possibile revisione delle regole sul mercato del lavoro.

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