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Rivalutare Craxi (e la sua politica economica), vent’anni dopo. Il commento di Sacconi

A vent’anni dalla morte in esilio di Bettino Craxi, largamente condivisa appare la sua rivalutazione in quanto leader carismatico che fece l’Italia protagonista nella dimensione sovranazionale. Della sua breve ma intensa stagione di governo, riemergono agevolmente i ricordi del consiglio europeo di Milano, che determinò con la sua personale richiesta di voto il percorso di completamento del mercato interno, della installazione degli euromissili, che accelerò la fine del blocco politico-militare sovietico, dell’episodio di Sigonella, con cui furono rivendicate le prerogative nazionali nell’alleanza atlantica.

Più controverso risulta ancora il suo ruolo nella politica economica e di finanza pubblica solo perché più difficile risulta ancora l’ammissione dei propri errori da parte di coloro che gli furono avversari e che paradossalmente la asimmetria giudiziaria ha risparmiato. Craxi eredita nel 1983 la terribile combinazione tra stagnazione e inflazione, le dinamiche di spesa pubblica innescate negli anni della politica consociativa, la moltiplicazione degli oneri di collocamento del debito indotta dalla improvvida separazione tra Tesoro e Banca d’Italia.

Il suo governo agirà contemporaneamente per la drastica riduzione della spirale inflazionistica, per il controllo delle spese correnti, per la stabilizzazione della pressione fiscale, per la crescita sostenuta da grandi processi di modernizzazione. Il primo obiettivo non fu indolore perché osteggiato da una feroce campagna referendaria al cui esito Craxi legò la sopravvivenza del suo governo nonostante il quesito offrisse la illusione ottica di un aumento dei salari. Il controllo della spesa fu perseguito con manovre di bilancio fortemente contestate a sinistra per la loro supposta riduzione delle spese sociali. In realtà si trattò di contenere la cosiddetta spesa tendenziale quale si sarebbe prodotta, in assenza di correzioni, per le facili promesse deliberate dai due grandi partiti nella seconda metà degli anni ‘70.

Sono stato relatore delle leggi finanziarie per il 1984 e il 1987 e ben ricordo il clima arroventato nel quale superammo per la prima volta, dopo anni, il ricorso all’esercizio provvisorio. Le considerazioni conclusive del governatore Ciampi per il 1986 sono la migliore certificazione di “un’azione tenace e di tendenze positive” che danno “i loro frutti”. Nello stesso anno il fabbisogno statale, al netto degli interessi, si riduce significativamente mentre la bilancia commerciale migliora, il costo del lavoro per unità di prodotto scende mentre crescono occupazione e salari netti reali, il ciclo degli investimenti si mantiene elevato. Si sarebbe potuto fare di più.

In particolare il governo tenta una riforma delle pensioni che avrebbe anticipato di oltre dieci anni la legge Dini rendendo ancor più graduale il percorso di sostenibilità della relativa spesa ma viene bloccato dall’azione convergente di Dc e Pci in sede parlamentare. Sono insomma proprio i settori che si riveleranno più critici verso il periodo della presidenza Craxi ad avere ostacolato o non sostenuto la sua azione di risanamento. Ma il tempo è galantuomo e la verità storica si sta affermando anche se la menzogna giudiziaria dei buoni e dei cattivi continua a mantenere fragile il pavimento sul quale edificare il nostro futuro.

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