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Emissioni, gas e rinnovabili. La svolta green di Eni e i piani al 2050

C’era una volta l’Eni di Enrico Mattei, pioniere nella ricerca di idrocarburi nell’Italia post-bellica e alfiere del Bel Paese tra le grandi big oil americane. Ora, a distanza di quasi 60 anni, ci sarà un altro Cane a sei zampe, proiettato verso nuovi equilibri industriali: sostenibilità, gas e rinnovabili. Il piano industriale presentato al mercato questa mattina dal ceo Claudio Descalzi (al timone del gruppo dal 2014), collaterale a quello di più breve termine aggiornato al 2023, ha un’anima tutta verde o quasi: entro il 2050, vale a dire in un arco temporale di 30 anni, l’85% della produzione Eni sarà riconducibile al gas, mentre nel 2030 tale quota sul mix produttivo del gruppo raggiungerà il 60%. Tutto questo dopo aver raggiunto a stretto giro il picco dell’oil, alias petrolio, tra cinque anni. Uno spostamento di baricentro a dire la verità già in atto da tempo, grazie e precise scelte strategiche, ma che per il 2050 raggiungerà lo zenit, come illustrato nelle 50 slide che disegnano l’Eni che verrà.

ENI FORMATO GREEN

L’obiettivo di Eni è di quelli ambiziosi. Abbandonare decenni di tradizione petrolifera per sposare in pieno la causa del gas e della sostenibilità, cambiando pelle. Ma a giudicare dai contenuti del piano al 2050, le intenzioni sono molto serie. Tanto per cominciare Eni punta a spingere forte sul fronte delle rinnovabili, alzando nettamente il livello di sviluppo che dovrebbe superare i 55 Gigawatt nei prossimi tre decenni. E anche la raffinazione e la chimica, quest’ultima racchiusa nella controllata Versalis, vedranno incrementare la loro componente verde, anche grazie alla lavorazione di polimeri bio-degradabili.

Dunque, sempre più prodotti decarbonizzati dalle raffinerie di Eni, mentre negli impianti della chimica si punterà forte su tecnologie che garantiscano sostenibilità delle produzioni e riciclo dei materiali. Tutto questo sarà possibile, anche, grazie al cash flow (flusso di cassa) cumulato che, da qui al 2023, è atteso sopra i 25 miliardi. Non è finita. Perché il piano per un Cane a sei zampe green, prevede una robusta accelerazione sui bio-carburanti, fino ad arrivare a una quota del 100% proprio nel 2050, e una spinta a progetti di mobilità sostenibile. La sintesi di questo percorso può essere facilmente trovata in questo dato: riduzione dell’80% delle emissioni in tre decenni.

DESCALZI VEDE VERDE

A corroborare i target del piano trentennale sono arrivate le parole dello stesso manager milanese, classe 1955, successore a San Donato di Paolo Scaroni. “Eni sarà rinforzata nel suo ruolo di attore globale nel mondo dell’energia, arricchita da business quali le rinnovabili e l’economia circolare, oggi ai primi passi ma con uno sviluppo futuro di rilievo e altamente connesso ai business esistenti. La produzione oil&gas, che prevediamo raggiunga il plateau nel 2025, sarà destinata a ridursi negli anni successivi, principalmente nella componente olio”. La prospettiva è dunque quella di una produzione Eni diversificata, la quale avrà il suo fulcro nella riduzione delle emissioni. “Abbiamo poi quantificato”, ha aggiunto il numero uno del gruppo fondato da Mattei, “i target di riduzione della nostra impronta carbonica. Per primi ci siamo dati una metodologia di calcolo delle emissioni omnicomprensiva che include emissioni dirette e indirette derivanti dall’uso finale dei prodotti, indipendentemente dal fatto che siano di nostra produzione o acquistati da terzi”.

UPSTREAM, CUORE DI ENI

Naturalmente, il cuore pulsante di Eni (che ha chiuso il 2019 con un utile netto adjusted, cioè depurato dalle partite straordinarie di a 2,88 miliardi, in calo del -37% rispetto al 2018, mentre nell’ultimo trimestre è stato di 550 milioni, in calo del 62%) rimarrà l’Upstream, ovvero la ricerca di gas a discapito del petrolio. Oggi Eni, che nel 2015 nell’offshore egiziano ha scoperto Zohr, il più grande giacimento di gas del Mediterraneo, è tra i gruppi più all’avanguardia nel mondo per la ricerca e l’individuazione di giacimenti. E non è un caso se la strategia del Cane a sei zampe verta proprio su questa attività. L’Upstream continuerà a spingere a un ritmo del 3,5% annuo fino al 2025 e sarà sostenuto anche da una più che significativa valorizzazione delle riserve e da nuove scoperte (2,5 miliardi di barili da qui al 2023) senza tralasciare l’esigenza di assicurare la sostenibilità della produzione con progetti di conservazione delle foreste e di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, su cui gli uomini di Eni sono al lavoro da tempo.

IL PIANO AL 2023 E I CONTI 2019

C’è poi l’altro piano, quello di più corto raggio e che guarda al 2023. Per concretizzare una trasformazione lunga 30 anni, bisogna gettare solide basi fin da ora. E le solide basi sono nella strategia di Eni investimenti per 32 miliardi in quattro anni, con un 74% destinato all’upstream e 4 miliardi sul fronte green. Il tutto potendo contare anche sulla capacità di abbassare ulteriormente la neutralità di cassa (cioè il livello che consente al gruppo di ripagare con la propria cassa dividendi e investimenti) a 45 dollari al barile (oltre 10 dollari sotto l’asticella attuale). Senza dimenticare gli azionisti ai quali Eni consegnerà una cedola in crescita a 0,89 euro per azione (+3,5%).



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