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Lega Araba e Anp dicono no al piano di pace di Trump. Rottura definitiva o tattica?

La Lega Araba adotta una risoluzione formale per respingere il piano di pace studiato da Donald Trump per porre fine al conflitto israeliano-palestinese. “Peace to Prosperity” – così  era stato chiamato quello che il presidente americano descriveva come “il piano del secolo” – ha ricevuto voto contrario dall’unanimità dai ministri degli Esteri dell’organizzazione internazionale araba. Riuniti oggi al Cairo, tutti e 22 i membri della Lega hanno votato contro l’accettazione delle proposta americana per risolvere una delle contese politico-territoriali più lunghe e complesse della storia.

Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha annunciato “la rottura di tutte le relazioni della Palestina con Israele e Usa” in seguito alla presentazione del Piano di Trump per la pace in Medio Oriente.

Prima di andare avanti, val la pena di sottolineare che dunque tra chi ha votato contro oggi c’erano anche i capi della diplomazia di Emirati Arabi, Bahrein e Oman, paesi che erano presenti alla Casa Bianca quando il progetto è stato presentato da Trump e dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Così come l’hanno bocciato l’Egitto e l’Arabia Saudita, due grandi alleati americani in Medio Oriente, che finora avevano preso posizioni attendiste.

Nel comunicato congiunto fatto uscire alla fine della riunione, la Lega Araba ha dichiarato che non avrebbe cooperato con gli Stati Uniti per eseguire il piano in quanto “non soddisfa i diritti minimi e le aspirazioni del popolo palestinese”. Il blocco panarabo ha anche affermato che Israele non dovrebbe attuare l’iniziativa con la forza.

Si creerebbero “due classi di cittadini, ovvero l’apartheid, in cui i palestinesi saranno cittadini di seconda classe, privati ​​dei diritti fondamentali della cittadinanza”, ha dichiarato il segretario generale della Lega araba, l’egiziano Ahmed Aboul Gheit.

La riunione era stata sollecitata dai palestinesi, dopo che la tanto attesa proposta di Trump per la pace in Israele avrebbe consentito agli israeliani di annettere tutti gli insediamenti in Cisgiordania. Contemporaneamente si proponeva la creazione di una Palestina spezzettata, con Gaza e pezzi sparsi di Cisgiordania fino ad alcuni quartieri periferici di Gerusalemme. Però c’era la possibilità di uno stato, sebbene disarmato; e per i palestinesi sarebbero arrivati aiuti infrastrutturali per collegare le vari porzioni di territorio – aiuti su cui gli americani avrebbero provveduto.

La presa di pozione della Lega Araba era per certi versi attesa. Un passaggio obbligato anche perché gli stati arabi non potevano accettare d’emblée una proposta statunitense molto sbilanciata a favore d’Israele. È possibile che però, al di là dell’attuale presa di posizione, prevarrà il pragmatismo. Davanti all’assenza di altre soluzioni all’orizzonte, e sopratutto senza un qualche altro grande sponsor in grado difenderle e cavalcarle (come faceva notare il docente della Lumsa Matteo Bressan), la Lega potrebbe scegliere di emendare alcuni aspetti e chiedere qualche correzioni.

D’altronde, lo stesso Trump ha sottolineato come il piano fosse in realtà un punto di partenza negoziale (aspetto sottolineato subito da Germano Dottori della Luiss). D’altronde gli spazi per i palestinesi sono minimi. Al di là di sedute come quelle odierne, passaggi più necessari che utili, la questione palestinese non è più al centro dei giochi politici mediorientali (come spiegato dal direttore dell’Ispi, Paolo Magri). Per capirci, per quel che riguarda il significato politico, tra la presenza di Emirati, Bahrein e Oman alla presentazione di “Peace to Prosperity” a Washington e il voto contrario di oggi al Cairo, è nettamente predominante il primo aspetto. Il piano proposto da Trump mette i leader arabi davanti alle necessità della realpolitik.

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