Il dibattito sul Mes ha avuto, fra gli altri, l’effetto di accendere un faro sul dumping fiscale all’interno dell’Unione Europea. In particolare, l’ostracismo dell’Olanda contro lo strumento degli Eurobond ha svegliato la politica italiana che si è ricordata dei numerosi gruppi industriali che hanno abbandonato il domicilio fiscale italiano a favore dei Paesi Bassi. È ora di provare a invertire la rotta. Formiche.net ne ha parlato con Ylenja Lucaselli, deputata di Fratelli d’Italia e membro della commissione Bilancio.
Onorevole, la Farnesina starebbe pensando ad un piano contro l’Olanda “paradiso fiscale” e il suo collega Adolfo Urso ha espresso apprezzamento per questa volontà. Tutti uniti contro il Paese dei tulipani?
Il nodo del dumping all’interno dell’Unione europea esiste ed è serissimo e finalmente sta venendo alla ribalta, dopo anni di colpevole silenzio. Però dobbiamo capire come affrontare la questione. Gli anatemi o le minacce possono creare consenso nel breve termine ma non risolvono il problema.
Cosa bisognerebbe fare?
Abbiamo letto di un piano del ministero degli Esteri. Anzitutto, bisognerebbe passare dagli annunci ai fatti, scoprire le carte. Si tratta di capire se è una mossa di Di Maio per avere qualche voto in più oppure c’è una volontà seria di ingaggiare una battaglia difficilissima. Se fossimo nel secondo caso, bisognerebbe attivare due attori fondamentali.
Quali?
Ministero dell’Economia e Parlamento. Il continuo ricorso alla decretazione d’urgenza con voto di fiducia ed ora la supplenza delle task force ha esautorato le Camere. Questa dinamica finisce necessariamente per radicalizzare il confronto fra maggioranza e opposizione. La prima si sente forte di poter agire senza dare conto alla seconda e quest’ultima è posta davanti al bivio prendere o lasciare. La fase 2 di una tragedia come quella che il Paese sta vivendo non richiede la discesa in campo di tecnici dal miracolo facile. Qui, serve la politica. Pd e Movimento 5 Stelle hanno la forza di lavorare seriamente con l’opposizione? Finora, hanno scelto la scorciatoia, che porta però ad un vicolo cieco.
Cosa c’entra questo con l’Olanda?
C’entra, eccome. È evidente che non discutiamo di una dichiarazione di guerra ai Paesi Bassi. In tutto l’Occidente, dagli Usa al Giappone passando per Francia e Germania, si sta pensando a come ridurre la dipendenza della propria supply chai dalla Cina e quindi riportare nei propri Paesi tante produzioni che erano state delocalizzate. In Italia, lo ha spiegato bene l’amministratore delegato di Banca Intesa, il problema è persino più grave. Negli ultimi due decenni almeno noi abbiamo avuto la fuga di imprese e di capitali. È questo il punto.
Ma il tema del paradiso fiscale come andrebbe declinato?
Se numerosi gruppi industriali, grandi e medi, hanno spostato il domicilio fiscale è perché in Olanda c’è maggiore convenienza. Questa decisione è il frutto di due problemi. Se i Paesi Bassi sono troppo generosi, è vero anche che noi facciamo di tutto per far fuggire non solo gli investimenti ma persino le (poche) famiglie industriali italiane. Invece di fare la guerra ai tulipani, dovremmo pensare ad un grande piano per riportare in casa tutte le imprese che sono fuggite, insieme con le ricchezze private. Va messo in campo una strategia seria e non uno spot.
Pagare meno tasse, ad esempio.
Certo. I capitali si muovono dove c’è convenienza. L’Italia deve poter essere attrattiva ed il nostro fisco, uso un eufemismo, non lo è particolarmente. Poi, sia chiaro, non mi illudo che basti ridurre le aliquote per riportare le aziende sul territorio.
A cosa pensa?
Secondo lei, se avessimo torturato meno i cittadini con le cartelle di Equitalia ed avessimo impiegato strutture come le Agenzia delle Entrate per verificare adeguatamente tutte le operazioni di esterovestizione in Olanda non sarebbe stato più efficace? Purtroppo è più facile tartassare un artigiano figlio di nessuno che i nipoti di una ricca dinastia di industriali.
Meno tasse e più controlli quindi?
Certo. Volendo usare una metafora per semplificare, servono sia il bastone che la carota. Ma senza improvvisazione. Serve un piano coordinato e soprattutto condiviso.
Non basterebbe chiedere ai più ricchi un contributo di solidarietà come propone il capogruppo del Pd alla Camera?
La proposta di Delrio parte dal presupposto che ci siano ancora i ricchi. Quel limone da spremere non c’è più. A parte gli immobili, la ricchezza vera del Paese è scappata all’estero. E le continue minacce di patrimoniali non aiutano. La base imponibile si è ridotta al lumicino. Sono rimasti i dipendenti pubblici, le grandi imprese di Stato con i loro fornitori ed un po’ di professionisti. Per questo è urgente un piano per reindustrializzare l’Italia. Mi piace moltissimo la pubblicità della ex Fiat ora Fca ma preferirei che la loro sede fosse in Italia e che ci fosse una produzione maggiore nel nostro Paese. Non possiamo costringerli per decreto ma non possiamo neppure arrenderci. Riportare i buoi nelle stalle dopo che sono scappati è complicatissimo ma se non ci si lavora di certo non tornano da soli.
Cosa ne pensa della proposta dell’ex ministro Tria sulla copertura pubblica delle perdite delle imprese a causa del coronavirus?
Ne ho letto proprio su Formiche.net e mi pare che sia una ipotesi di lavoro molto seria e strutturata. Mi auguro che il ministro Gualtieri la tenga in considerazione. Però…
Però?
Da questa crisi non se ne esce da soli. Questo governo e questa maggioranza sono insufficienti per l’ordinaria amministrazione, figuriamoci per gestire una emergenza di questa magnitudine. La soluzione non è un governissimo con tutti dentro indistintamente e neppure l’illusione di un salvatore della patria. Facciamo quello che è ragionevole ed utile. Ripartiamo dal Parlamento. Il ministro Gualtieri venga con i suoi tecnici nelle commissioni Bilancio e Finanze e ragioniamo seriamente. Sull’interesse nazionale sapremo essere uniti. Senza sconti, ovviamente.