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Petrolio, Opec a un bivio. Ecco cosa c’è in ballo lunedì a Riad

Prima lo scontro commerciale Cina-Usa, poi la pandemia. L’economia globale soffre di una maggiore instabilità e dell’improvvisa comparsa di “cigni neri” globali. Inserita in questo quadro generale, la riunione di lunedì 6 aprile tra i paesi produttori del sistema Opec+ diventa un passaggio importante all’interno di un quadro delicatissimo. Il mercato dell’Oil&Gas sta subendo forte contrazioni, come un’analisi di Sace (Cdp), legate in questa fase al calo della domanda prodotto dall’epidemia di coronavirus. Le conseguenze più che economiche potrebbero essere di valore geopolitico: instabilità e turbolenze, cambi di posizionamenti e posture che potrebbero andare ben oltre al presente.

Il vertice convocato, da Riad con richiesta “di emergenza”, potrebbe sbloccare un taglio alle produzioni, dopo che un mese fa esatto un altro incontro simile era finito malissimo. Russia e Arabia Saudita erano entrate in scontro, i russi non volevano tagli sull’output e i sauditi avevano reagito per rappresaglia aumentando anche le loro produzioni e annunciando sconti extra.

Il mercato era andato in tilt, e si era prodotto un tonfo storico nei costi al barile arrivati attorno ai venti dollari. Limando anche con forza le produzioni (tagli netti sono considerati molto problematici dal punto di vista tecnico), l’Opec+ può innescare un rialzo — già avviato in parte in questi giorni dopo dichiarazione tattiche su tagli funambolici fatte da a Donald Trump e continuato grazie all’annuncio della riunione (con partecipazione russa).

Ma resta irrisolvibile il problema del calo drastico della domanda. L’epidemia non ha tempi certi, e con ogni probabilità nelle fase di de-escalation (ancora lontana, basta pensare alla crisi in corso negli Stati Uniti) si porterà dietro una danza su nuovi cluster e riattivazioni. È il caso di Singapore, il diciannovesimo Paese per consumi al mondo.

Questo venerdì la città-stato – un esempio di efficienza per come ha affrontato il virus, anche grazie all’uso deciso di tecnologie moderne – ha disposto un lockdown preventivo per i prossimi giorni per l’attivazione di un nuovo focolaio. Viste le condizioni generali, dunque, non è azzardato pensare che sia iniziata una nuova era di prezzi del petrolio stagnanti. E i suoi effetti politici potrebbero rivelarsi più profondi di quelli economici.

Da sempre infatti, il controllo delle risorse energetiche rappresenta un elemento fondamentale per il mantenimento di potere autoritari come quelli del Golfo, o dei paesi dell’Asia Centrale, o l’Iran, la Russia, e il Venezuela. I conti dello stato sono vincolati agli asset energetici: da lì escono sussidi e servizi ai cittadini, ma anche la linfa vitale per i cerchi concentrici del potere che compongono su vari livelli le leadership.

Prezzi bassi possono significare instabilità, processi di disequilibrio potrebbero diventare cambiamenti dello status quo dalla conseguenze imprevedibili. Dipenderà certamente da Paese a Paese. Casi come la Russia e l’Arabia Saudita, o Qatar ed Emirati Arabi, che hanno accumulato riserve finanziare importanti, altri come Bahrein, Iraq o il Turkmenistan – o anche l’Oman alle prese col nuovo corso del potere – potrebbero entrare in difficoltà.

“Nella sfera politica, il primo impatto di deficit di bilancio persistenti potrebbe essere la lenta ma continua diminuzione delle risorse che questi Stati sono in grado di spendere per la loro proiezione regionale e internazionale”, spiega Eugenio Dacrema, co-Head dell’Ispi (il think tank ha prodotto un paper approfondito sulla situazione attorno al mercato del petrolio).

Potremmo affrontare un esempio già usato su queste colonne: la crisi del mercato petrolifero in termini di domanda potrebbe colpire pesantemente l’Iran, che soffre già l’epidemia molto pesantemente. Più piani si intersecano: per via delle sanzioni re-impostate dagli Stati Uniti contro Teheran, la vendita del greggio iraniano – già precipitata – prendeva quasi esclusivamente la via cinese. Ma SarsCoV2 ha messo in ginocchio la Cina, fermandone l’economia e dunque anche i consumi di energia.

La domanda cala, la Repubblica islamica soffre, tanto che è dovuta ricorrere a una cruciale richiesta di finanziamento da parte del Fondo monetario internazionale. Una via che farebbe perdere sovranità all’Iran, e che potrebbe portarsi dietro un riassetto delle dinamiche che la Guida suprema avalla come proiezione di influenza regionale: l’assistenza a vari generi di proxy armati in Libano, Iraq, Siria, Afghanistan, Pakistan, Palestina.

Un altro esempio che invece riguarda dinamiche interne ai vari Paesi, con potenziali ripercussionei regionali per la maggior parte dei regimi mediorientali, consiste nelle crescenti difficoltà nel fornire alle proprie popolazioni lo stesso livello di servizi, posti di lavoro e benessere di cui godevano le generazioni precedenti.

“Dal 2011 – spiega Dacrema – tali difficoltà hanno già causato molteplici ondate di proteste in tutta la regione”. Se si combina con gli attuali sviluppi nel mercato petrolifero e con l’imprevedibile impatto sociale ed economico della pandemia in corso, “potrebbero presto trasformarsi in un mix ancora più esplosivo, accelerando le attuali crisi in paesi privi di importanti buffer finanziari, come Libano, Egitto o Giordania, causando ulteriori episodi di instabilità in tutta la regione”.

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