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Propaganda cinese in Italia. Il mondo arabo ne parla. Ecco come

La crisi del Covid-19 ha messo l’Italia nella condizione un po’ scomoda di Paese oggetto di crescenti avventure diplomatiche, e in cui gli aiuti per gestire la crisi da Coronavirus sono divenuti strumenti di azioni di soft power a varie tonalità. Gli alleati classici – europei e americani – nonostante il crescente supporto, sono stati percepiti come passivi e disinteressati o addirittura, come nel caso degli europei, volontariamente contro per indebolire Roma. Potenze grandi (Cina, Russia), medie (Egitto, Turchia, Algeria, Qatar) e anche relativamente piccole (Tunisia, Albania, Cuba) hanno inviato aiuti, dottori, e supporto di vario genere. Alcune di esse lo hanno pubblicizzato in maniera molto significativa, e in alcuni casi anche aggressiva. È questo il caso della Cina.

Talvolta queste operazioni hanno anche creato tensioni interne. Basti pensare alle polemiche scaturite in Egitto dal carico di aiuti che il Cairo ha invitato, con il ministro della Sanità egiziano, Hala Zayed, venuta personalmente a consegnarlo. Gli egiziani si sono lamentati sia per il fatto che il ministro stesso non abbia rispetto le regole che l’amministrazione ha imposto agli egiziani – uso della maschera e distanziamento sociale – ma anche e soprattutto l’opportunità del gesto da parte di un Paese che ha seri problemi nella gestione di questa emergenza e una penuria cronica di materiali sanitari e protettivi.

In Italia, il dibattito sul significato di queste dinamiche è rimasto confinato principalmente in cerchie ristrette di esperti e osservatori che, a onor del vero, dibattono normalmente su questi problemi anche in temp ordinari. Manca, invece, un grande, dibattitto pubblico sui giornali e sui media sui rischi che l’Italia corre rispetto a queste manovre di soft power che, se non contenute, possono poi trasformarmi facilmente in una morsa sui settori sensibili dell’autonomia sovrana di un Paese: sulle sue scelte di politica estera, sui suoi asset strategici, sulla sua libertà d’opinione, finanche sulle scelte istituzionali.

Il riferimento alla Cina è inevitabile, anche e soprattutto perché è il Paese che più si è esposto rispetto alla crisi italiana, con una politica propagandistica estremamente aggressiva che ha trovato, ahinoi, una serie di sponde importanti in Italia, tanto nei media quanto nella politica.

Sottolineare questi passaggi non significa creare allarmismi o isterismi ingiustificati, ma essere vigili rispetto a rischi che ora sembrano minimi, ma possono materializzarsi improvvisamente e divenire ben più significativi: basti pensare alla velocità con la quale il virus ha sconvolto le nostre vite in meno di un mese.

La mancanza di questa consapevolezza pubblica, però, è ancora più significativa se si nota che l’azione della Cina in Italia sta diventando sempre di più oggetto di attenzione all’estero. Al-Shorouk, giornale arabo pubblicato in Egitto e in tanti altri Paesi arabi, ha tradotto in arabo l’analisi pubblicata per China Brief, la pubblicazione bi-settimanale della Jamestown Foundation focalizzata sulla Cina, agli inizi di Aprile da Dario Cristiani, ricercatore del German Marshall Fund di Washington DC e dell’Istituto Affari Internazionali di Roma, attualmente negli Stati Uniti.

Cristiani si occupa principalmente di politica estera italiana, Mediterraneo e dinamiche globali, e spesso Formiche ne ha ospitato gli interventi sia in forma di interviste che di articoli. Il suo pezzo era focalizzato sul significato politico della politica degli aiuti cinesi in Italia.

Il pezzo tradotto è parte della più ampia sezione sulle “analisi internazionali” in cui il giornale arabo traduce articoli pubblicati all’estero considerati di interesse per l’opinione pubblica egiziana e araba. Al-Shorouk ha solo modificato il titolo, con uno ben più perentorio – rispetto al titolo originale – “L’Italia è terreno fertile per il raggiungimento degli obiettivi della Cina (Italia Turba Khasba Litahqeeq Ahdaaf As-Seen).”

Mentre il dibattito su questi argomenti fatica ad emergere in Italia, in altre parti del mondo vi è un crescente interesse per ciò che la Cina fa in Italia, anche in posti – come il Medio Oriente – dove questo tema non solo non dovrebbe essere un argomento centrale, ma probabilmente non dovrebbe neanche essere trattato, se non da esperti locali di questioni siniche o italiane o da appassionati di questioni internazionali.

Invece, trova spazio su uno dei principali media diffusi in tutta la regione (Al-Shorouk ha 4 milioni di followers solo su Twitter). Tutto ciò dovrebbe farci riflettere e spingere politici e media, giornali e tv, ad affrontare questo tema in maniera più aperta. Il pubblico deve capire cosa sta succedendo, e non può solo focalizzarsi su mascherine e materiali in arrivo e annesse passarelle.

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