“America first” oltre l’atmosfera, con a bordo gli alleati e i partner che vorranno partecipare alle nuove avventure spaziali. Donald Trump lo aveva promesso poco dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, e ora rilancia il piano stellare tra Space Force (per fronteggiare un confronto militare già arrivato in orbita) e sfruttamento commerciale delle risorse lunari. Mentre il presidente srotolava la bandiera della nuova Forza armata, il numero uno della Nasa Jim Bridenstine presentava ieri gli Artemis Accords, ideati per allargare il ritorno sulla Luna (e oltre) a livello internazionale.
LA SPACE FORCE
Erano 72 anni che gli Stati Uniti non presentavano la bandiera di una nuova Forza armata. “È un momento molto speciale”, ha detto Trump nello Studio ovale, affiancato per l’occasione dal capo del Pentagono Mark Esper, dal segretario della US Air Force (all’interno della quale si colloca la Space Force) Barbara Barrett e dal comandante Jay Raymond. Fondo nero, “United States Space Force MMXIX” scritto in basso, e al centro, circondato da stelle, il logo già svelato a gennaio (non senza ilarità social per la somiglianza con Star Trek). Sventolerà per l’obiettivo già chiarito dal presidente: “il dominio americano nello Spazio”. Innegabile la spinta data dal presidente alla creazione della Space Force, da lui annunciata nel 2018 e sorta in meno di due anni non senza difficoltà.
LA SPINTA DI TRUMP
Trump è riuscito a forzare le resistenze dell’Usaf, a convincere il Congresso e a rendere i vari capi del Pentagono (Patrick Shanahan e Esper soprattutto) strenui promotori del progetto. E così, lo scorso dicembre, firmando il budget per il Pentagono relativo al 2020, Trump ha dato ufficialmente il via alla sesta forza armata degli Stati Uniti, destinandovi i primi 40 milioni (111 nella richiesta per il prossimo anno). Il mese scorso, hanno terminato il loro percorso formativo alla Air force accademy di Colorado Springs i primi 86 tenenti (l’ormai storica “classe del 2020”) che confluiranno direttamente tra le fila della Space Force. Qualche settimana prima, il lancio del satellite l’AEHF-6 per le comunicazioni sicure aveva suggellato la prima missione con il cappello della nuova forza armata, divenuta già iconica con tanto di serie tv dedicata su Netflix, con Steve Carell nei panni del generale Raymond, ovviamente in versione ironica.
TRA “MILITARY” E “COMMERCIAL”
Ma il confronto spaziale è tutt’altro che fiction. “Cina e Russia, e forse altri, hanno iniziato molto prima di noi; noi avremmo dovuto iniziare molto tempo fa, ma ora abbiamo recuperato a dovere”, ha detto Trump, chiarendo da dove nasce l’esigenza di una Space Force. Capacità anti-satellite, assetti spia in orbita e droni capaci di spostare satelliti sono solo alcune delle possibilità già dimostrate dalle grandi potenze. A preoccupare Washington è soprattutto la Cina, dotata di un programma completo e ambizioso, dai lanciatori a una stazione orbitante, fino a Luna e Marte. Gli Stati Uniti di Donald Trump hanno scelto di voler affrontare la sfida seguendo due direttrici: militarizzazione dello Spazio (percorsa con la Space Force) e commercializzazione, chiamando a bordo i grandi attori privati. È d’altra parte questo il carattere della New Space Economy, alla base anche dei nuovi “Artemis Accords”, presentati dal numero uno della Nasa Jim Bridenstine.
GLI ARTEMIS ACCORDS
Prendono il nome dal programma con cui gli Usa puntano a tornare sulla Luna entro il 2024, ben finanziato e supportato dall’amministrazione che, per il prossimo anno, ha chiesto al Congresso il budget più alto del terzo millennio per la sua agenzia spaziale: 25,2 miliardi di dollari. Il ritorno sulla Luna non sarà una toccata e fuga. L’obiettivo è mantenere una presenza stabile, magari sfruttando le risorse in situ per renderla sostenibile, immaginando inoltre di supportare l’economia sulla Terra e di alimentare ambizioni esplorative verso obiettivi più lontani. È l’inizio di “una nuova era dell’esplorazione spaziale”, ha detto Bridenstine.
LE NUOVE REGOLE LUNARI
“Questi accordi – ha aggiunto – rinvigoriscono il ruolo dell’America come leader globale nello Spazio, promuovendo un uso responsabile delle risorse e aprendo la porta a una nuova epoca di collaborazione internazionale”. Gli Artemis Accords saranno accordi bilaterali rivolti alle agenzie spaziali (compresa quella italiana) che collaboreranno al programma lunare americano, con l’obiettivo di stabilire “un insieme comune di princìpi per governare l’esplorazione civile e l’uso dello Spazio esterno”. Invitano a condividere le ricerche scientifiche, affermano il principio di trasparenza tra partner, di interoperabilità tra i sistemi e di assistenza in caso di emergenza. Insistono anche sul contrasto alla space debris e (in più parti) sull’aspetto esclusivamente pacifico dell’attività.
I TRATTATI IN GIOCO
Il riferimento normativo è d’altra parte all’Outer Space Treaty del 1967, dedicato proprio all’uso pacifico dello Spazio, in scia a quanto previsto dall’ordine esecutivo firmato a inizio aprile da Donald Trump, con cui il presidente ha affidato al segretario di Stato Mike Pompeo il coinvolgimento di alleati e partner al progetto commerciale degli Usa. In quell’ordine esecutivo, Trump ha chiarito definitivamente il rifiuto degli Stati Uniti per il Moon Treaty, siglato nel 1979 e ratificato da soli 18 Paesi. Definisce la Luna come “patrimonio comune del genere umano”, formula che di fatto impedisce la possibilità di rivendicare la proprietà sulle sue risorse, linea datata dal momento in cui si immagina la possibilità di sfruttare i materiali lunari per intraprendere ulteriori viaggi o alimentare l’economia terrestre. Tra l’altro, chiedendo ai privati di partecipare al rischio dell’impresa spaziale, occorre riconoscere loro anche la possibilità di sfruttarne commercialmente l’occasione.
LA COMMERCIALIZZAZIONE DELLE RISORSE
Gli Artemis Accords presentati da Bridenstine seguono in tal senso la linea del presidente. La parte intitolata “Space resources” spiega che “la capacità di estrarre e utilizzare risorse su Luna, Marte e asteroidi sarà fondamentale per supportare l’esplorazione e lo sviluppo sicuro e sostenibile dello Spazio”. È la parte destinata a far discutere maggiormente, considerando che già l’ordine esecutivo di Trump si era guadagnato le ire di Dmitry Rogozin, numero uno di Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, fedelissimo di Vladimir Putin, il quale aveva paragonato il piano lunare “all’invasione di Iraq o Afghanistan”. Rigurgiti di un clima di Guerra fredda in cui però, quantomeno nello Spazio, Pechino ha sottratto a Mosca il ruolo di comprimario accanto agli Stati Uniti. Con la bandiera della nuova Space Force, Washington ha accettato la sfida.
(Foto: US Space Force)