Aerei da bombardamento russi, sei Mig-29 e due Su-24, sarebbero arrivati in Libia dalla Siria. Partiti da Hmeimim, centro di coordinamento della presenza russa nel paese e nel Mediteranno, i cacciabombardieri russi sono arrivati in Libia scortati da altri caccia Su-35 e atterrati negli ultimi giorni forse a Bengasi o al Jufra, due dei centri di comando del signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar.
L’annuncio di questa ulteriore presenza militare dall’esterno – chiaramente in violazione dell’embargo Onu che la missione europea “Irini” avrebbe compito di far rispettare – è stato dato dal ministro dell’Interno del governo di Tripoli, Fathi Bashaga, parlando alla Bloomberg.
Poche ore dopo, nella serata di mercoledì, la propaganda militare del capo miliziano orientale ha lanciato l’avviso che nelle prossime ore sarebbe partita una campagna aerea “mai vista in Libia” contro le forze del Gna – il Governo di accordo nazionale libico di ispirazione onusiana – e gli assistenti militari di Tripoli, i turchi.
LE SCONFITTE DI HAFTAR
Nelle ultime settimana Haftar ha riportato una serie devastante di sconfitte. È stato respinto dalla costa verso la Tunisia, a ovest di Tripoli, e ha perso il controllo della grande base di Al Watiya. Sono stati due colpi pesantissimi, in cui la presenza militare turca alle spalle delle milizie di Tripoli e Misurata che difendono il Gna, è stata determinante. Tanto che in diverse occasioni, come nel caso della base, le truppe di pro-Haftar delle milizie di Zintan si sono ritirate per evitare lo scontro finale.
In generale queste sconfitte arrivano perché la Turchia ha aumentato la quantità (ci sono svariate centinaia di miliziani turcomanni che Ankara ha sposta dalla Siria) e migliorato la qualità (grazie ai nuovi droni) delle sue attività militari in Libia. Negli ultimi sette giorni, stando alle informazioni fornite a Formiche.net da una fonte interna al Gna, i droni turchi avrebbero distrutto nove Pantsir, sistemi anti-aerei di fabbricazione russa che erano stati spostati in Libia dagli Emirati Arabi – principale degli sponsor esterni del miliziano. Inoltre, secondo le informazioni arrivate sempre dal governo di Tripoli, la Turchia starebbe pensando se spostare ad al Watiya alcuni F-16.
Non va sottovalutato, però, nemmeno che i successi sul fronte tripolino sono arrivati anche perché gli haftariani sul campo sono ormai allo sfinimento, non tanto fisico quanto psicologico: molti sono tornati da tempo in Cirenaica (e hanno, per quanto reso possibile dal regime militarista imposto da Haftar, un atteggiamento critico). Nel frattempo sono stati sostituiti via via con poco-motivati contractor ciadiani e sudanesi, finanziati dagli emiratini.
LE DIFFICOLTÀ DELL’UOMO (NON) FORTE
L’ambizione di conquista di Haftar su Tripoli (una campagna che teoricamente doveva essere velocissima, ma dura da tredici mesi, tra resilienza della forze delle Tripolitania e incapacità tecnica degli haftariani) si basava sulla possibilità tattica di aggirare la capitale da Ovest e Sud. A Ovest, s’è detto, la caduta della fortezza di Al Watiya è stato il passaggio definitivo verso la debacle; a sud le forze del Gna hanno proseguito in questi giorni a riprendere il controllo delle fascia pedemontana delle montagne Nafusa – dove già diversi mesi fa, Haftar aveva perso il centro logistico di Gharyan.
E se vogliamo, a Est sta per perdere Tarhouna, un’altra città importante perché snodo dell’offensiva e centro pro-Haftar nella Tripolitania – altre fonti dicono che a giorni cadrà, perché le milizie di Misurata hanno raggiunto un accordo con quelle locali (le trattative durano da settimane, Tarhouna è accerchiata, ma le forze del Gna vogliono evitare vittime innocenti). Inoltre, visto l’onda delle vittorie, le forze del Gna potrebbero seguitare fino alla Mezzaluna petrolifera, attualmente controllata da Haftar anche tramite tribù locali – una mossa che alzerebbe ulteriormente la posta in gioco.
Sebbene siano aerei di epoca sovietica – non pezzi di ultimo grido – l’arrivo degli aeri russi è un elemento che aggiunge drammaticità alla situazione, col rischio di un incremento clamoroso della vittime civili. Pochi giorni fa, la diplomatica americana inviata speciale dell’Onu per la Libia ad interim, Stephanie Williams, ha invitato gli attori esterni a rallentare sulla guerra per evitare escalation. Tre settimane fa, un report delle Nazioni Unite ha apertamente denunciato la presenza russa, emiratina e turca nel conflitto. Dall’Onu, l’inviato israeliano, Danny Danon, ha anche accusato l’Iran di aver inviato alle forze di Haftar munizioni avanzate anti carro armato.
LA PARTITA POLITICA
Il ruolo di Mosca è ambiguo: c’è una componente interna al Cremlino e vicina al mondo militare e dell’industria collegata che spinge per l’assistenza ad Haftar (e negli anni passati ha già inviato sostegno anche attraverso contractor privati); un’altra più vicina alla diplomazia che dal ministero degli Esteri chiede di non sbilanciarsi troppo perché il governo di Tripoli per non rischiare di complicare ulteriormente l’immagine russa all’interne delle Nazioni Unite.
Tant’è che oggi il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha avuto una conversazione telefonica con l’omologo turco, Mevlut Cavusoglu, e i due hanno parlato di un immediato cessate il fuoco in Libia e chiesto di ritornare al tavolo Onu (sebbene non è da escludere che Mosca possa aver spinto la situazione anche vedendo il proprio cavallo perdente). Tuttavia, da Ankara il ministero degli Esteri ha diffuso una nota in cui scrive che “laddove vengano presi di mira gli interessi turchi in Libia, ci saranno gravi conseguenze e gli elementi golpisti di (Khalifa) Haftar verranno considerati un obiettivo legittimo”.
Prima del rinforzo russo, gli sponsor esterni di Haftar nei giorni passati avevano fatto segnare qualche segno di rallentamento (come anticipato dall’esperto di Libia Daniele Ruvinetti in un’intervista). Soprattutto l’Egitto sembra meno convinto della continuazione dell’investimento su Haftar, ma anche gli Emirati starebbero sul punto di preparare una sorta di uscita indolore del signore della guerra, che potrebbe coinvolgere il presidente del parlamento HoR, Agila Saleh, con cui secondo le informazioni di Formiche.net sta lavorando anche l’Italia per una nuova stagione di contatti Est-Ovest.
Cairo e Abu Dhabi – secondo le fonti riportate in un articolo informato pubblicato dal quotidiano egiziano Mada Masr – pensano che ormai Haftar sia vicino alla sconfitta, e l’aiuto russo potrebbe servire in almeno tre passaggi: prevenire lo schieramento turco in Libia (quei caccia F-16 per esempio) e indebolirne le difese aree (sebbene quei pazzi sovietici potrebbero essere inferiori ai sistemi turchi), consolidare le posizioni dell’Est prima di nuovi negoziati. E l’occhio di tutti adesso guarda verso la Mezzaluna petrolifera.