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Rilancio? Del Pd. Così Gualtieri e Zingaretti mettono le mani sul volante

Non è facile prendere la cloche di un aereo in picchiata. Ma il Pd ha deciso di farlo, assumendosi l’onore e l’onere di evitare lo schianto a un Paese sull’orlo del baratro. Il Decreto Rilancio (qui l’articolo con tutte le misure) è ormai una realtà. 55 miliardi ripartiti tra imprese, lavoratori, famiglie e sanità. E il Pd, sembra in qualche modo, rivendicarne una certa paternità. Sensazione che si rafforza leggendo le due interviste odierne, di due esponenti di punta del partito fondato da Walter Veltroni: Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia e il segretario Nicola Zingaretti.

Non è forse un caso che, secondo alcune indiscrezioni riportate dall’Agi, tra le fila del M5S serpeggi un certo malumore derivante dalla sensazione di perdere peso politico e di un progressivo schiacciamento sulle posizioni del Partito democratico.

UN OTTIMO DECRETO

Tornando a Gualtieri e Zingaretti, il ministro dell’Economia, intervistato da Repubblica, ha prima di tutto fatto esercizio di comprensione verso tanti cittadini che vedono il proprio futuro se non compromesso, tutto in salita. “È evidente che le legittime preoccupazioni di una situazione senza precedenti possano generare anche rabbia. Lo capiamo e per questo il governo è impegnato a sostenere imprese e famiglie, a evitare un aumento delle diseguaglianze, ad aiutare i più deboli”. Poi però l’ex europarlamentare ha difeso punto su punto un provvedimento che vale 55 miliardi di deficit aggiuntivo.

Prima accusa respinta al mittente, il fatto di aver distribuito risorse a pioggia, senza un vera visione di lungo periodo. “Non sono aiuti a pioggia, ma la volontà di non lasciare indietro nessuno in una circostanza così drammatica. È una precisa scelta politica di questo governo, che io rivendico, ma è anche una scelta che ha efficacia economica. E non è vero nemmeno che nel decreto non si guardi allo sviluppo. Assieme alle misure per imprese, famiglie e lavoratori ci sono quelle sulla ricapitalizzazione delle imprese, molto importanti per le piccole e medie aziende, spesso sottocapitalizzate.”

Altra difesa, l’Irap. Qualche osservatore ha fatto notare come l’imposta sulle attività produttive sia stata tagliata anche alle aziende prive di perdite, dunque tecnicamente sane. Ma Gualtieri sgombra il campo. “Eliminare il saldo-acconto Irap di giugno è scelta di buon senso di fronte a una crisi che colpisce tutto il sistema. Bisogna tenere conto anche di quello che le imprese pensano: per una crisi come questa serve uno schema da grande patto. Senza contare che l’Irap incide in modo particolare ad esempio sul Terzo settore, al quale abbiamo esteso le principali misure di sostegno alle imprese”. Poi, una punta di orgoglio. “Il nostro è un governo che ascolta le parti sociali. Poi decide, ma prima ascolta”.

MIRACOLO ITALIANO

Di miracolo italiano, parla invece Zingaretti, in un colloquio con La Stampa. Non si poteva fare di meglio, è la tesi del leader dem in merito al decreto Rilancio. “C’è chi critica quelle 500 pagine sostenendo che ci sia un po’ di tutto per tutti, che manchino una visione d’insieme dell’Italia che verrà e non ci siano vere e proprie riforme strutturali”. Ma, rivolto all’intervistatore, “le faccio una domanda: nelle condizioni politiche, economiche e sociali in cui ci troviamo, avremmo potuto fare di più e di meglio? Io le dico di no. E aggiungo: trovare la quadra, anche a costo di qualche compromesso, è stato un miracolo. Il massimo possibile, per garantire quello di cui c’è bisogno adesso: un sostegno al reddito delle famiglie e ai ricavi delle imprese”.

E “stiamo attraversando un passaggio strettissimo se nei prossimi sessanta giorni la macchina dei sussidi non gira come deve, allora la rabbia sociale può esplodere. Questo è il pericolo più grande, per il Paese e per tutti noi, perché se la protesta deflagra poi rischiamo di non controllarla più”.

AVVISO AL M5S?

Zingaretti poi ammette, non senza soddisfazione, il cambio di pesi e contrappesi nel governo. Ora, dice il segretario dem e governatore del Lazio, c’è il Pd in plancia di comando. “Quando è nato questo governo i Cinque Stelle lo volevano ad ogni costo, forti del loro 32%. Io non ero convinto, ma ci sono entrato con il mio 16%, per il bene dell’Italia. Loro pensavano di dettare l’agenda, e di svuotare il Pd in pochi mesi. Ora sta succedendo l’esatto contrario. Il Movimento si sta dividendo, senza afflato unitario, né slanci di condivisione, e sta perdendo consensi. Noi, che invece teniamo una posizione seria e coesa, stiamo risalendo la china, e ormai siamo a un passo dalla Lega. Il Pd sta consolidando il suo ruolo: il partito delle istituzioni, il pilastro sul quale si regge il governo, in una delle fasi più difficili della storia repubblicana”.



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