Sergio Mattarella lo ha detto giusto pochi giorni fa, con un messaggio in occasione dell’ultima relazione della Consob, la Commissione di vigilanza sulla Borsa. “Il ruolo del mercato è centrale nel processo di ripresa del Paese che ha subito una crisi sanitaria senza precedenti, con gravi effetti economici e sociali, e conseguenze ancora difficili da valutare nella loro complessità. La propagazione del virus ha avuto forti ripercussioni finanziarie, con un sensibile aumento della volatilità”. Tradotto, Piazza Affari è e deve essere il motore della ripresa economica del Paese.
L’OPERAZIONE LSE-REFINITIV
Fin qui tutto bene, se non fosse che proprio Borsa Italiana, la società proprietaria dei listini milanesi a sua volta controllata dal gruppo London Stock Exchange, potrebbe presto uscire dal perimetro del controllo inglese, divenendo facile preda di grandi gruppi. Solo lo scorso autunno una delle maggiori piazze finanziarie del mondo, la Borsa di Hong Kong, aveva presentato un’offerta (poi ritirata) da 37 miliardi di dollari per inglobare il Lse e dunque la Borsa di Milano. Adesso però tra poche settimane il Lse potrebbe essere costretto a cedere proprio la controllata Borsa Italiana.
Il prossimo 22 giugno infatti scadranno i termini per l’indagine preliminare della Commissione europea in merito alla fusione tra il London stock exchange e la banca dati Refinitiv, il cui closing finale, ha ricordato oggi il Sole 24 Ore, potrebbe arrivare nella seconda metà dell’anno visto che è nell’aria una proroga circa i termini per la pronuncia finale di Bruxelles. Operazione da 27 miliardi di dollari di una certa portata visto che coinvolge alcuni azionisti extra europei: il 55% di Refinitiv è del fondo Blackstone (l’altro 45% in mano a Thomson Reuters). In cambio del sì alla fusione però, Bruxelles potrebbe quasi certamente chiedere la cessione di un asset, molto probabilmente la stessa Borsa Italiana.
PIAZZA AFFARI SUL MERCATO?
A quel punto, in caso di cessione, Piazza Affari potrebbe ritrovarsi improvvisamente fuori dal perimetro del Lse e quindi facile preda di grandi gruppi stranieri. Un timore oggi più che mai legittimo vista anche la recente indagine del Copasir, il Comitato per la sicurezza della Repubblica, su possibili scalate ostili ai nostri asset. Il che, vista la sensibilità delle migliaia di transazioni che ogni giorno passano per Palazzo Mezzanotte, pone un problema. Il governo italiano sembra essersi mosso per tempo, allargando la norma sul Golden power anche al settore finanziario-bancario assicurativo. Al pari delle grandi aziende strategiche partecipate dallo Stato insomma, anche Borsa potrebbe beneficiare dello scudo pubblico. Eppure ci sono almeno altri due schemi possibili per proteggere Borsa.
TRA CDP ED EURONEXT
La prima ipotesi chiama direttamente in causa Euronext, il consorzio franco-olandese (gestisce le Borse di Amsterdam, Bruxelles e Parigi) e principale mercato finanziario pan-europeo. Che Euronext sia da diverso tempo interessata a Milano non è un mistero. E parte del governo italiano, soprattutto sponda dem, vedrebbe infatti di buon occhio una fusione paritetica tra Borsa ed Euronext, un po’ sulla falsariga dello schema Psa-Fca (50-50). In questo modo, è il ragionamento di fondo, si manterrebbe la Borsa italiana dentro il perimetro europeo, lontano dalle grinfie asiatiche, per esempio. Operazione però su cui recentemente l’economista Jean-Paul Fitoussi, intervistato da Formiche.net, ha espresso dei dubbi.
L’altra strada è la nazionalizzazione della Borsa, che piace più al Movimento Cinque Stelle. Qui lo schema vedrebbe un ingresso di un pool di investitori italiani guidati dalla Cdp, replicando un po’ quanto vociferato in questi giorni su un possibile intervento della Cassa nelle Generali qualora la Bce desse a Leonardo Del Vecchio l’ok per salire al 20% del capitale di Piazzetta Cuccia.