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Perché la diplomazia di Sisi adesso ha un peso sul dossier Libia. Il commento di Dentice

Nella telefonata avuta domenica con il premier italiano, Giuseppe Conte, il presidente/generale egiziano, Abdel Fattah al Sisi, ha incassato l’appoggio dell’Italia per un’iniziativa politica di pacificazione della Libia (nella conversazione si è parlato anche di temi bilaterali: il caso Regeni per esempio).

Il Cairo aveva scommesso sulla vittoria militare di Khalifa Haftar, ma dopo 14 mesi di offensiva, la campagna per conquistare Tripoli è finita. “Si sta tornando al negoziato, sostanzialmente all’idea che l’Egitto condivideva con la Russia, che volevano fosse approvata da Haftar nell’incontro avuto a Mosca in preparazione della conferenza di Berlino (a inizio anno, ndr), prima che il generale libico sposasse le sirene emiratine”, spiega a Formiche.net Giuseppe Dentice, ricercatore dell’Ispi esperto del mondo egiziano.

La fase è effettivamente in corso stando a svariati segnali, anche se adesso sono i ruggiti propagandistici dall’interno del fronte che difende il Gna — il governo onusiano di Tripoli — a minacciare un approfondimento del conflitto in Cirenaica. A star dietro alle spifferate dei megafoni delle milizie certamente non si va lontano, ma domenica è stato lo stesso ministro dell’Interno libico, Fathi Bashaga, a rilanciare sulla possibilità di non fermarsi solo a Sirte — capoluogo costiero sul golfo omonimo da cui gli haftariani stanno indietreggiando — ma arrivare anche a prendere al Jufra.

La città in mezzo alla Libia è un centro di potere militare di Haftar. Per spiegarci, è lì che si trovano i caccia che la Russia ha spedito dalla Siria, così come è lì che si trovano i contractor della russa Wagner e quelli ciadiani e sudanesi che hanno retto fino a qualche settimana il fronte dell’Est grazie al finanziamento emiratino. Al Jufra è la porta della Cirenaica, per questo quanto dice Bashaga è importante.

Il rischio è che un approfondimento del conflitto fin  laggiù possa significare un vero e proprio scontro aperto tra Egitto (che ha interesse nel controllo della Cirenaica) e la Turchia, partner che ha permesso il successo del Gna contro Haftar, e che attualmente rivendica il ruolo di vincitore (e dunque player centrale) sul dossier libico.

Domenica sera, mentre uscivano le notizie della conversazione con Conte e mentre circolavano sui media gli slanci di Bashaga, il governo egiziano dava ordine di mobilitazione a truppe meccanizzate – con carri e blindati – verso il confine con la Libia: uno show of force.

“L’Egitto — commenta Dentice — ha strumentalmente usato il piano diplomatico nel tentativo di non farsi coinvolgere direttamente nel conflitto. Il movimento di quegli uomini al confine così come le minacce di intervento sono funzionali all’obiettivo di garantirsi un piano di negoziazione forte nei confronti della controparte. Una mossa simile a quella della Russia, che ha mandato in queste settimane aerei e altri mercenari della Wagner non per farsi coinvolgere militarmente, quanto per ribadire la necessità di non uscire sconfitta dal conflitto”.

Layer ulteriore sulla situazione: da tempo all’interno del Gna ci sono posizioni non ben allineate. Da un lato quelli come Bashaga, legati alla Fratellanza musulmana e già ingaggiati nel confronto intra-sunnismo spinto dalla Turchia da un lato e da Emirati Arabi ed Egitto (e dalle secondo linea dall’Arabia Saudita) dall’altro. Dall’altro meccanismi più locali, legati a territorialità e interessi più libici.

Nella gestione dell’equilibrio all’interno della Libia, lato Gna, è emerso prominente il ruolo del vicepremier, Ahmed Maiteeg. Considerato un moderato, per questo non osteggiato dagli egiziani (che contro la Fratellanza hanno costruito la narrativa di Al Sisi), Maiteeg è il punto di contatto tra anime contrastanti che ruotano attorno al dossier, su tutte la Russia haftariana e gli Stati Uniti – recentemente riallineati con la Turchia sul lato della Tripolitania, dove gli Usa vedono in Ankara parte del bilanciamento in funzione anti-russa.

Il vicepremier libico giorni scorsi era a Mosca, dove gli è stato cominciato un messaggio chiaro: per Russia ed Egitto conta la Cirenaica, non Haftar. Nel frattempo Maiteeg teneva call giornaliere con i vertici della National Security americana (Casa Bianca) e con il dipartimento di Stato.

Maiteeg ha ottime relazioni anche in Italia, ha tenuto da anni i rapporti tra Tripoli e Roma (contatti diplomatici e con l’intelligence, nonché quelli con governo e politici italiani). Il ruolo italiano, in questo momento, può diventare un altro punto di contatto, ammesso che il governo Conte abbia voglia di aumentare il proprio coinvolgimento.

L’Italia ha uno spazio di movimento nella fase attuale, avendo relazioni (e interessi) sia con Turchia che con Egitto, e contatti (certamente da ravvivare) con il Gna. Una posizione che Roma potrebbe far valere non solo sulla Libia, ma su tutte le dinamiche geopolitiche che ruotano attorno al dossier libico e si proiettato sul Mediterraneo.

Sulla stabilizzazione rapida della situazione, per l’Italia c’è anche un grosso fattore di interesse nazionale legato all’immigrazione. Il tempo buono estivo potrebbe favorire nuovi flussi — finora bloccati anche dalla pandemia. I rubinetti dell’Ovest sono sotto il controllo del Gna (e dei turchi, che potrebbero usare anche la Rotta Nordafricana alla stregua di quella Balcanica, ossia per muovere leve sull’Europa).

Il punto è che il nuovo interessamento verso Tripoli, sul fronte migranti (per esempio con l’offerta italiana di strumentazioni da tempo richieste dai libici), può essere letto come un’azione unilaterale con poca reciprocità dai libici. Varie fonti dal Gna hanno più volte lamentato un fatto, attualmente ribadito: Roma “ci chiama solo per parlare di immigrazione, mentre a noi, tra guerra e ricostruzione, serve molto di più”.



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