Nel corso della pandemia di Covid-19, sin dalle sue prime manifestazioni, l’Italia (e non solo) ha mutato più volte strategia d’azione per il contenimento del virus, inviando talvolta segnali confusi alla popolazione. Se all’inizio il leitmotiv che muoveva gli amministratori è stato #noinoncifermiamo, nell’arco di poche settimane è diventato #iorestoacasa. Ma quali sono state le indicazioni ufficiali relative ai dispositivi di sicurezza come mascherine e disinfettanti? E come è cambiato, nel corso delle settimane, l’approccio alla contagiosità degli asintomatici? Ecco una guida pratica contro il caos di indicazioni per combattere il coronavirus.
GUANTI E MASCHERINE
Partiamo dalle mascherine. Inizialmente l’idea era che le mascherine proteggessero dalla diffusione ma non dalla contrazione del virus. Il loro utilizzo, dunque, era suggerito esclusivamente ai potenziali malati. Come si leggeva, infatti, sul sito del ministero della Salute il 4 marzo, “l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di indossare anche una mascherina solo se sospetti di aver contratto il nuovo coronavirus e presenti sintomi quali tosse o starnuti, oppure se ti prendi cura di una persona con sospetta infezione da nuovo coronavirus”. Inoltre, specificava il ministero, “la mascherina non è necessaria per la popolazione generale in assenza di sintomi di malattie respiratorie”. Poco dopo, la situazione era cambiata. A partire dal 4 maggio, in concomitanza con la fase 2, ne veniva reso obbligatorio l’utilizzo sull’intero territorio nazionale “nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza”. Alla fine, ogni regione imponeva regole diverse e, anche davanti a norme uguali, il rispetto delle stesse veniva garantito a intermittenza. Ai primissimi di maggio il governatore della Sicilia Nello Musumeci denunciava: “Ho visto troppe persone che vanno in giro senza mascherina, a metà maggio firmerò una nuova ordinanza”. Dall’altra parte dell’Italia, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori lamentava la stessa problematica in un video pubblicato su Facebook: “Ho visto delle foto che ritraggono le persone senza mascherina. C’è tanta gente che non ha usato prudenza”. Stesso discorso per l’utilizzo dei guanti. Obbligatori negli esercizi commerciali da settimane, secondo quanto riportato pochi giorni fa dall’Oms rischiano invece di “aumentare il rischio di infezione, dal momento che può portare alla auto-contaminazione o alla trasmissione ad altri quando si toccano le superfici contaminate e quindi il viso”, come riportato da Ansa.
DISINFETTANTI
All’inizio del lockdown i gel disinfettanti sono diventati introvabili. La gente ha fatto scorte per mesi, nonostante il suggerimento fosse quello di optare per questo tipo di prodotti solo in caso di impossibilità di lavarsi le mani. Come si legge sul sito dell’ospedale Humanitas di Milano, per prevenire il nuovo virus si consigliava di “lavare le mani con acqua e sapone sfregandole con cura per almeno 20 secondi. Laddove non fosse possibile lavare le mani con acqua e sapone, si può utilizzare un disinfettante per mani a base di alcol al 60%”. Lo stesso, tra l’altro, faceva il ministero della Salute, secondo cui “per disinfettare e detergere le mani ed eliminare il virus eventualmente presente si può utilizzare il lavaggio con acqua e sapone per 40-60 secondi […] Se non si ha la possibilità di lavare frequentemente le mani con acqua e sapone si possono utilizzare i disinfettanti a base alcolica per uso umano”. Ad ogni modo, per far fronte alla carenza degli igienizzanti per le mani, le istituzioni hanno cercato di dare il proprio supporto. L’Oms, ad esempio, ha messo a punto e divulgato una ricetta fai da te per preparare “in casa” un disinfettante efficace.
Il virologo Ruberto Burioni ha subito condiviso il suggerimento sul suo magazine Medical Facts: “Quando si è in giro, invece, si possono utilizzare i disinfettanti a base di alcol, come la famosissima e ormai introvabile Amuchina. Se non la trovate, non vi preoccupate. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pensato bene di fornire istruzioni per prepararsi autonomamente un disinfettante a base di alcol, economico ed efficace”. Il Cnr, invece, sottoposto alla vigilanza del ministero dell’Istruzione, proponeva – come pubblicato su AdnKronos e ripreso dal Consiglio nazionale delle ricerche – tre ricette alternative, nessuna corrispondente a quella dell’Organizzazione mondiale della sanità. Dal suo canto, invece, l’Istituto superiore di sanità, che appartiene al ministero della Salute, sconsigliava l’utilizzo di qualunque tipo di disinfettanti home made, in controtendenza con l’Oms: “Sulla base delle caratteristiche di pericolo delle sostanze previste nelle due ricette non è consigliabile preparare in casa i prodotti anche in considerazione del fatto che le sostanze di partenza devono rispondere a precisi standard di qualità, come indica l’Oms” si legge proprio sul sito dell’Iss.
ASINTOMATICI E CONTAGIO
All’inizio del lockdown il nemico più grande sembravano essere gli asintomatici. Come riportato anche da uno studio di Nature, questi ultimi, contagiati dal Codiv-19 in maniera silente, si aggiravano per le strade diffondendo bacilli virali ovunque. Sollevando non poche domande: se la quarantena per i sintomatici risulta di primaria importanza per bloccare la diffusione del virus, come garantire lo stesso effetto per gli asintomatici? La scelta è ricaduta sulla quarantena per tutti, fatti salvi motivi di reale necessità o urgenza, come il lavoro, la salute e similari, come previsto dal Decreto del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte. Qualche giorno fa, però, l’Oms, nella persona di Maria Van Kerkhov, capo del team tecnico anti Covid-19 dell’agenzia, ha riferito durante un briefing, che “raramente” gli asintomatici sono in grado di trasmettere il Covid. Anche su questo, ad oggi, non ci sono risposte certe. Walter Ricciardi, a capo della task force governativa per combattere il Covid e membro del comitato esecutivo dell’Oms, avrebbe riferito durante il programma televisivo Agorà che “la trasmissione da sintomatici è tipica di questo virus”.
Non dimentichiamo poi la questione dei tempi e delle distanze necessarie per scongiurare il contagio. Prima un metro, poi qualcosa in più a causa del cosiddetto effetto droplet, le goccioline di saliva che escono dalla bocca veicolando i virus, come riferisce un servizio di DiMartedì, poi persino tra i sei e gli otto metri, come riportato da una ricerca del MIT, secondo cui “le goccioline emesse con un colpo di tosse o uno starnuto possono raggiungere rispettivamente fino a sei e otto metri di distanza”. Infine, a seconda dell’attività che svolge il soggetto coinvolto, come riportato nel decreto entrato in vigore il 4 maggio. Stessa cosa per i materiali su cui si deposita il virus, con tempistiche che variano da giorni a minuti a seconda del soggetto che condivide l’informazione. Secondo la circolare del 22 maggio del ministero della Salute, “le particelle virali sulle superfici più comuni possono resistere da alcune ore (come ad esempio sulla carta) fino a diversi giorni (come sulla plastica e l’acciaio inossidabile)”. I primi di aprile, però, Richard Brennan, direttore delle operazioni d’emergenza dell’Oms per la regione Mediterraneo orientale, riferiva durante una conferenza stampa virtuale che il Covid-19 resisteva sulle superfici “solo poche ore”.
TEST SIEROLOGICI E TAMPONI
Al centro del dibattito politico e scientifico anche la questione dei tamponi che, una volta passata l’emergenza, non sembra ancora essersi risolta. C’è chi voleva farli a tappeto, come i governatori del Veneto Zaia e della Toscana Rossi, e chi, come Roberto Burioni, suggeriva che “In alcune zone del nostro Paese la diffusione dell’infezione è tale da rendere i tamponi poco utili: considerando la diffusione del coronavirus e la frequenza delle infezioni asintomatiche, delle quali abbiamo già parlato stamattina, è corretto assumere che ogni singola persona possa essere infettiva. Fare il tampone, dunque, in questo momento non servirebbe a fermare l’epidemia, che può essere arrestata solo e solamente dal nostro restare a casa”. Il virologo Giorgio Galli, invece, sosteneva una carenza di tamponi: “Non riusciamo a fare tutti i tamponi che vorremmo”, dichiarava a fine marzo interrogato da Enrico Mentana durante uno speciale di La7.
Oggi che il picco sembra momentaneamente scongiurato, il dibattito si è spostato fra tamponi e test sierologici, i primi garantiti ancora solo in caso di comprovata esigenza da parte di un sanitario, i secondi accessibili a chiunque. Sulla loro utilità, si discute ancora. Non è chiaro, infatti, il loro margine di errore e se, in caso di positività, il virus possa ancora risultare attivo. Per il momento, il ministero della Salute e l’Istat, con la collaborazione della Croce Rossa Italiana, hanno attivato un’indagine di sieroprevalenza dell’infezione per capire quante persone nel nostro Paese abbiano sviluppato gli anticorpi al nuovo coronavirus. Il maggiore ostacolo, però, è che dei 150mila coinvolti, solo una minima parte sembra disponibile ad effettuare il test. I motivi sono ancora da scoprire. “Se ricevete una chiamata dal numero che inizia con 06.5510 è la Croce Rossa Italiana. Non è uno stalker, non è una truffa telefonica, ma è un servizio che potete rendere al vostro Paese attraverso un piccolo prelievo venoso ha dichiarato Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa.
VACCINO E CURA
Ma quando arriverà il vaccino contro il Covid-19? “Lo sviluppo di un vaccino è un percorso lungo e complesso, che generalmente può richiedere un tempo compreso tra i 15 e i 20 anni. In condizioni di emergenza, come nel caso dell’Ebola, i tempi per il vaccino sono stati ridotti a cinque anni. Oggi la disponibilità di tecnologie di ultima generazione ci consente di fare ipotesi di sviluppo ancora più ottimistiche, ma in ogni caso non vedo plausibile un tempo inferiore a uno-tre anni”, spiegava il vaccinista Rino Rappuoli a Formiche ai primi di marzo. Della stessa opinione persino una casa farmaceutica, la Merck, che vista la sfrenata corsa al vaccino che aveva ormai capitalizzato l’attenzione dei media nazionali e internazionali, ha tenuto a precisare che “dodici o diciotto mesi non sono sufficienti per garantire un vaccino sicuro”. In poche settimane, però, sono nati i primi grandi dubbi in merito all’accessibilità del vaccino: non potendo l’azienda (e il Paese) che “arriverà primo” garantire una distribuzione capillare, come deciderà a chi distribuirlo e a chi no? E come potrà l’Italia aggiudicarsi una fetta delle terapie se negli anni ha trascurato il settore, lasciando che la ricerca abbandonasse piano piano il nostro Paese? “Il mondo sarà diviso, con ricadute geopolitiche senza precedenti, fra i Paesi che avranno il vaccino e quelli che non lo avranno. Qualora la Cina dovesse arrivare per prima, ci metterà probabilmente almeno un anno e mezzo per vaccinare la propria popolazione e solo successivamente lo venderebbe agli altri Paesi (salvo che decida di condividere i frutti della sua ricerca). Ovviamente, tenendo conto di tutte le dinamiche a noi note” ha allertato il presidente di Toscana Life Sciences Fabrizio Landi.
IL FUTURO CHE VERRÀ
Dopo tre mesi e quasi 35mila morti solo in Italia, la situazione è ancora caotica e le domande irrisolte restano tante. Compresa quella sul piano antipandemico aggiornato nel 2016 che suggeriva, come riportato appunto dal Corriere della Sera di “preparare in anticipo le strategie di risposta a una eventuale pandemia”.