Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, vola a Parigi per affrontare il tema del petrolio libico — centrale per il dossier — insieme al collega Jean-Yves Le Drian. La riunione è pensata nell’ottica di sbloccare insieme alla Francia la produzione e l’export di greggio dalla Libia bloccate a gennaio per ordine del signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar. La questione è innanzitutto fondamentale a livello interno, il governo onusiano di Tripoli ha bisogno dei proventi del greggio per la spesa pubblica (i cinque mesi di stop hanno causato perdite per 6,1 miliardi di dollari). Su questo c’è già un accordo, mediato dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti, preparato dalla petrolifera statale Noc -— che si occuperà di ridistribuire gli introiti anche in Cirenaica in attesa di una stabilizzazione più ampia, e più lontana nel tempo (Agenzia Nova ha pubblicato i dettagli tecnici dell’intesa).
L’implementazione successiva, ossia il riavvio di produzioni ed esportazioni con flussi normali, è tutt’altro che definito e ha anche un problema extra-libico: i contractor militari russi del Wagner Group, società che si occupa di portare a termine il lavoro sporco per conto del Cremlino in diversi teatri delicati, hanno occupato il campo pozzi di Sharara (a sudovest) e insieme ai miliziani sudanesi Janjawid perlustrano anche El Feel (altro grande giacimento della zona, gestito dall’Eni). Mentre gli altri Paesi trattano, dunque, Mosca si muove in stile Crimea: occupa silenziosamente un’area e cerca di entrare nelle trattative con la prepotenza delle armi (pare che le unità della Wagner, per un periodo puntello al fronte di Haftar, si siano portate dietro anche sistemi anti-aerei).
La visita francese di Di Maio per questo diventa di rilievo: come spiegava su queste colonne l’ambasciatore Stefano Stefanini, soltanto con un allineamento tra Francia e Italia (e Germania e Regno Unito) c’è possibilità per l’Europa, e per tutto ciò che l’Europa rappresenta, di rientrare in partita in Libia e facilitare una stabilizzazione di un conflitto che — sebbene da giorni le armi siano ferme — è diventato un problema internazionale. Il ministro italiano, tra l’altro, va a Parigi dopo la missione a Tripoli e dopo l‘incontro tra il capo del Consiglio presidenziale libico, Fayez al Sarraj, con il premier Giuseppe Conte a Roma.
“È un nodo cruciale, perché così viene affamata la popolazione libica e non possiamo permetterlo”, ha commentato Di Maio la questione “prioritaria” del petrolio — che, si ricorderà, Haftar aveva chiuso forzando tribù e milizie locali il 18 gennaio, con un gesto anche simbolico: in quei giorni si svolgeva la Conferenza di Berlino, riunione diplomatica che doveva essere il momento in cui l’Europa gettava il suo peso per fermare la crisi.
In questi cinque mesi le cose sono notevolmente cambiate. Sul campo Haftar ha perso, e il Gna da assediato a Tripoli ora assedia le porte della Cirenaica grazie al supporto militare e politico della Turchia. Il presidente Emmanuel Macron a questo punto è diventato uno dei grandi sconfitti dell’attuale situazione, perché il cavallo su cui ha scommesso, Haftar, che ha sostenuto in forma clandestina ed evitando che l’Ue potesse costruire una linea concreta e comune sulla Libia, è sconfitto militarmente (e dunque senza più ambizioni politiche, che dipendevano solo da un suo successo in battaglia). Ma peggio ancora per i francesi, il gruppo di sponsor collegato, formato da Egitto ed Emirati, soffre. Le Drian ha rapporti col Cairo connessi all’industria militare e maturati quand’era alla Difesa e aveva ordinato lo schieramento discreto (poi scoperto per un incidente e ammesso in modo imbarazzante) di operativi del Dgse sul lato haftariano; Macron pende verso gli Emirati. Ma attualmente l’Eliseo ha mollato Haftar, condannando (solo dopo la sconfitta) il suo tentativo di scacco armato a Tripoli. Nel frattempo Parigi ha però aperto il fronte con Ankara: Francia e Turchia, due membri prominenti nella Nato, si confrontano a cavallo del Mediterraneo in una partita di livello superiore. Per l’Italia anche in questo caso un ruolo da peso per gli equilibri. La Francia ha interesse a riavviare le produzioni perché i pozzi della Mezzaluna in cui opera Total più restano chiusi più si danneggiano.