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Militari egiziani in Libia? Lo scontro con la Turchia e le preoccupazioni Usa

Secondo le informazioni dell’egiziano Mada Masr, in giro tra Sirte e al Jufra c’è ancora il Wagner Group russo (di oggi su queste colonne è uscita un’approfondita spiegazione attraverso un’intervista a Nona Mikhelidze dello Iai). I mercenari russi controllano la base aerea di Qardabiya, a Sirte, e girano per le strade della città senza troppo nascondersi. Ad al Jufra, dove si trovano Mig e Sukhoi russi spostati in Libia dalla Siria (nuove immagini di Su-24 sono uscite anche nei giorni passati), i contractor della Wagner sono posizionati sia nella base che in un’area più protetta a est (si chiama Sukhna, è un villaggio minore). Fonti dal governo di Tripoli confermano li doppio schieramento.

Mada Masr è l’unico media indipendente in Egitto, autorevole al punto che i suoi server subiscono quasi quotidianamente le censure governative. E certe informazioni che arrivano dal Cairo diventano ancora più interessanti in questo momento, con il generale/presidente Abdel Fattah al Sisi che ha ricevuto l’autorizzazione parlamentare per un eventuale schieramento di truppe all’estero. Mozione senza indicazioni geografiche o temporali, ma del tutto pensata come un messaggio connesso alle dinamiche libiche. Dove l’Egitto è sul lato haftariano – per ovvie ragioni geopolitiche connesse alla continuità del proprio territorio con la Cirenaica – come lo sono gli uomini che il Cremlino ha inviato a fare il lavoro sporco in Libia (secondo uno schema già visto altrove: Ucraina, Siria, Repubblica Centrafricana etc).

“Come sempre gli egiziani giocano più partite parallele nel tentativo di alzare la posta in palio”, spiega a Formiche.net Giuseppe Dentice, analista dell’Ispi esperto delle dinamiche nordafricane (focalizzato soprattutto sull’Egitto) a proposito del voto guerresco parlamentare. “Non credo che gli egiziani vogliano intervenire in Libia, anche se il Parlamento ha votato la disponibilità all’intervento; cosa che non si traduce inevitabilmente con un impegno diretto e immediato“. E allora come mai tutto ciò? “Vi sono diverse considerazioni, ma alla base di tutto vi è una difficoltà egiziana nel garantire un intervento militare boots on the ground in Libia per via dei grossi problemi interni e delle problematiche legate al territorio (lo scontro sarebbe solo a Sirte?) e alle capacità militari (azioni aerea e in che termini?). D’altronde hanno già cercato di alzare il mirino sulla legittimità dietro alle richieste arrivate dalla Cirenaica, proprio a dimostrazione che non gli sarebbe troppo conveniente rischiare di scontrarsi”.

Il rischio è che un intervento militare in Libia si trasformi in uno scontro aperto con la Turchia, che sostiene il governo onusiano Gna e i gruppi che lo difendono in Tripolitania. L’esperto italiano fa notare che la macchina da guerra turca è più abituata allo scontro, e questa è una delle ragioni per cui il Cairo l’azione militare forse vuole evitarla: “Poi tutto può succedere”. I due Paesi sono separati dalla faglia intra-sunnismo, che spacca i Paesi del Golfo e l’Egitto, con la loro interpretazione dell’Islam, da quelli più vicini alla Fratellanza. Tanto per fare due esempi: primo, l’Università di al Azhar del Cairo, istituzione dell’insegnamento islamico sunnita classico, ha espresso una posizione favorevole all’eventuale invio di truppe egiziane all’estero per difendere l’interesse nazionale; secondo, i ministri della Difesa di Turchia e Qatar, i Paesi allineati sua una visione dell’Islam ispirata alla Fratellanza, hanno incontrato nei giorni scorsi il ministro dell’Interno del Gna, Fathi Bashaga, considerato un esponente misuratino degli al-Iḫwān, i Fratelli.

La condizione – un potenziale scontro fisico tra Turchia ed Egitto – crea un problema ulteriore per gli Stati Uniti, come ha fatto notare Jalel Harchaoui, esperto di Libia del Clingendael Institute, intervistato sul libanese Annahar. Washington, alleato di Ankara sul quadro Nato e del Cairo per interessi regionali, “non vuole elaborare una policy libica”, ma la possibilità di uno scontro dà un nuovo grattacapo agli Usa, dice Harchaoui. Gli americani sono particolarmente concentrati sull’evitare che queste interferenze straniere sul dossier Libia si trasformino in una pericolosa escalation (una guerra tra egiziani e turchi) e in una problematica strategica (il consolidarsi delle attività russe). Nei giorni scorsi Donald Trump ha avuto contatti diretti sia con Sisi che con il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan. Sempre in questi giorni i funzionari americani (tra dipartimento di Stato, Pentagono e intelligence) hanno viaggiato più volte sia in Libia che in Egitto, e anche in Tunisia (Paese interessato dalla proiezione prodotta dall’instabilità regionale).

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