Deficit? Nessuna paura, i nostri conti terranno. E comunque non c’era scelta. Nel giorno in cui Giuseppe Conte, fresco di sì del Senato alla proroga dello Stato di emergenza, ha chiesto (e ottenuto con 170 sì) al Senato altri 25 miliardi di spazio sui conti italiani (a fine anno debito al 155,8% del Pil), l’interrogativo sulla tenuta a oltranza delle nostre finanze è d’obbligo. Cinque decreti da aprile ad oggi (Aprile, Rilancio, Liquidità, Semplificazioni e ora il decreto Agosto), sono costati quasi 100 miliardi di disavanzo aggiuntivo. Ma per Gustavo Piga, economista e docente a Tor Vergata, autore di saggi, non c’è problema. O meglio, non ci sarebbe se i soldi del Recovery fund venissero impiegati come si deve. Per Conte comunque la partita è complessa. Il centrodestra, per esempio, non ne vuol sapere di spingere ancora di più sull’acceleratore del deficit, senza sapere come verranno impiegati i soldi, negando l’appoggio al premier in caso di sperperi.
L’ORA DEL DEFICIT
“Questo scostamento era più che necessario, altrimenti la nostra economia non sarebbe rimasta in piedi, perché i soldi europei non arriveranno prima del 2021”, spiega Piga. “L’Europa ci consente tutto questo e noi dobbiamo approfittarne. Certo, con ogni probabilità a fine anno il deficit arriverà al 10-11% del Pil. Ma se non lo avessimo fatto sarebbe andata ancora peggio, perché il Pil sarebbe crollato drammaticamente, più di quanto fatto finora. Quello che il governo doveva fare sul deficit lo ha fatto, ora però deve garantire una burocrazia veloce e snella per non vanificare gli sforzi e far arrivare le risorse alle famiglie e alle imprese”.
IL MALE MINORE
Attenzione però. Se è vero che fare dell’ulteriore deficit era necessario, bisogna capire quale è il punto di non ritorno per il nostro debito. Perché prima o poi, quando le risorse dell’Europa saranno finite, l’Italia si ritroverà da sola dinnanzi a una montagna da oltre 2.500 miliardi, senza la ragionevole certezza di poter finanziare il debito con i mercati. “Non fare del deficit sarebbe stato ancora peggio”, ribadisce Piga. “In un mondo senza Covid avremo un prodotto interno lordo che sarà tornato quasi a livelli pre-pandemia e questo ovviamente impatterà positivamente sulle casse pubbliche, limitando i trasferimenti statali di risorse e aumentando le entrate. In questo contesto le risorse europee dal 2021 saranno fondamentali per mettere in sicurezza Paese e conti pubblici. Vede, il gioco può riuscire: da una parte con lo scostamento si impedisce alla nostra economia di affondare definitivamente. Dall’altra, con le risorse del Recovery Fund, si tornerà a fare della crescita grazie alla quale tenere sotto controllo i nostri conti”.
SI SCRIVE RECOVERY, SI LEGGE INVESTIMENTI
Ultimo tassello del ragionamento, l’impiego delle risorse del Recovery Fund. Chiarita la necessità di allentare ancora il disavanzo ma senza rinunciare al Recovery, dove indirizzare i fondi? “Semplice, investimenti e ancora investimenti. Soprattutto pubblici. Il Recovery Fund fa esplicito riferimento alla digitalizzazione ed al verde, ma le vere condizionalità sono la tipologia della spesa, tutta per gli investimenti e tutta già specificata dall’Ue: dal trasporto pubblico locale all’edilizia scolastica, dal dissesto idrogeologico alla gestione di acqua e rifiuti specie in Meridione. Quello che conta è investire”. E il Mes, tanto vale aggiungere 37 miliardi sul piatto già che ci siamo. “Assolutamente no, è un suicidio. Non serve a nulla se non a permetterci di rientrare nel 2022 nel Fiscal Compact. Il Recovery è molto diverso, c’è un do ut des che ci conviene, con il Mes solo un minuscolo risparmio di un miliardo in termini di interessi. Il Mes ci farebbe ritornare nell’austerità: c’è il do ma non il des. Punto”.