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Il Recovery Plan tra aerospazio e difesa. Ecco cosa smuove il settore

La fibrillazione intorno ai 209 miliardi che l’Italia riceverà dal Recovery Fund coinvolge anche il settore dell’aerospazio e difesa. In queste settimane, i ministeri di Difesa e Sviluppo economico, i vertici militari e aziende e associazioni di categoria sono impegnati in una serie di riunioni e incontri per capire quanto e come è possibile destinare al settore. Una certezza emerge dalle varie proiezioni: per il rilancio non basteranno le risorse in arrivo dall’Ue.

IL SISTEMA

Ogni ministero (qui i dettagli sulla bozza del Mise da 12,5 miliardi per aerospazio e difesa) è stato chiamato a presentare le proprie proposte al dipartimento delle Politiche europee della presidenza del Consiglio, retto da Enzo Amendola. A fare “sistema” è infatti il Comitato interministeriale per gli affari europei (Ciae), deputato a redigere il Recovery Plan nazionale da presentare a Bruxelles per beneficiare dei 209 miliardi. Come notato da Amendola la scorsa settimana, i campi identificati su “cui puntare la ripresa dell’Italia” sono sei: digitalizzazione, transizione green, infrastrutture, istruzione e formazione, inclusione sociale e salute. Tali linee-guida saranno formalizzate al Parlamento oggi dal presidente Giuseppe Conte, come annunciato alla Camera dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (in audizione), con l’obiettivo di presentare le linee principali a Bruxelles il 15 ottobre, insieme al documento programmatico di bilancio.

LE PROSSIME TAPPE

Inizierà allora una prima discussione con l’istituzione Ue, così da arrivare tra gennaio e aprile con il piano definitivo “senza rischi di bocciatura in extremis”, ha spiegato Amendola. Difatti, la Commissione avrà otto settimane per esaminare il piano e dunque proporlo all’EcoFin, che a sua volta avrà quattro settimane per approvarlo a maggioranza qualificata. In questo modo, potrebbero passare fino a tre mesi dalla presentazione formale del Recovery Plan alla sua approvazione, dopo la quale si potrà accedere subito al 10% del finanziamento totale. Per il resto, ha detto Amendola, “tutti fondi vanno impegnati tra il 2021 e il 2023 e spesi entro il 2026”. Secondo Gualtieri, “non faremo centinaia di micro-progetti, ma pochi e grandi progetti; questi a loro volta saranno anche collegati da una logica a missione, dove ciò che conta è l’obiettivo complessivo che si vuole raggiungere”.

INDICAZIONI E PROGAMMI

Tra green economy, digitalizzazione e innovazione sanitaria, le indicazioni di Bruxelles sui progetti da presentare non sono particolarmente restrittive, e ciò spiega la fibrillazione che percorre il comparto dell’aerospazio, difesa e sicurezza. “Il nostro Paese – ha scritto nell’editoriale di Airpress di settembre il direttore Flavia Giacobbe – potrebbe rispondere con progetti che possono spaziare dall’efficientamento e potenziamento della produzione energetica da fonti rinnovabili, a beneficio sia del parco infrastrutturale strategico sia dell’intera rete distributiva, al deciso perseguimento di mobilità sostenibile dei mezzi militari, alla valorizzazione dell’opportunità di investimenti in ricerca finalmente comparabili anche sul piano quantitativo con quelli di molti Paesi verso cui ha senso guardare”. Palazzo Baracchini, ha aggiunto, “potrà attingere a piene mani agli appena aggiornati documenti di policy dello Stato maggiore della Difesa, che puntano su tecnologie innovative”. Si va dall’intelligenza artificiale al quantum computing, dalla block chain alle reti digitali, tutti ambiti che potrebbero rappresentare la ricerca di base per molti dei sistemi di prossima generazione destinati alle Forze armate.

IPOTESI COMPENSAZIONE

Certo, i programmi militari “puri” e tradizionali non potranno rientrare tra quelli coperti dal Recovery Fund, che come detto è vincolato ad alcune linee-guida tra green economy, sanità e digitalizzazione. Per questi, però, le risorse dall’Ue potrebbero fungere da compensazione. Andando a sostenere altre voci del bilancio dello Stato, permetterebbero cioè di liberare quote di budget da investire nel settore, un comparto che resta tra i primi nel Paese per capacità di innovazione, ricerca e sviluppo. Tale compensazione si allarga a tutta l’Ue. A luglio, il Consiglio europeo che ha approvato il Recovery Fund ha portato contestualmente a ridurre di molto le attese per la nascente Difesa comune. Rispetto alla proposta iniziale di 13 miliardi di euro, per il Fondo Edf ci sono 7 miliardi nel quadro finanziario 2021-2027. La mobilità militare, tema caro alla Nato, avrà una dotazione di 1,5 miliardi (se ne prevedevano 6,5), mentre per la European Peace Facility dedicata alle missioni militari oltre i confini dell’Ue si è confermato il dimezzamento da 10 a 5 miliardi.

TRA INTEGRAZIONE E SVILUPPI NAZIONALI

Le risorse del Recovery Fund destinate ai singoli programmi nazionali non potranno di certo sostituire quanto atteso per la Difesa europea, di per sé ideata per promuovere integrazione tra Paesi con programmi comuni. Al tempo stesso però, l’abbassamento delle ambizioni sull’Edf potrebbe essere compensato da un occhio più benevolo da Bruxelles sui progetti dei vari Recovery Plan destinati alle Difesa nazionali. Si tratterebbe di interpretare nel modo più ampio possibile le linee-guida stabilite dall’Ue, permettendo di allargare la pletora di programmi militari finanziabili (nella bozza delle proposte del Mise c’è anche il Tempest, sistema da combattimento aereo di sesta generazione).

UN TASSELLO DEL QUADRO

Tutto questo non risolverà in ogni caso il sotto-finanziamento che da anni vive il sistema-Difesa italiano. Sia per le tempistiche dilatate del Recovery Fund (a fronte dell’esigenza di rilanciare in fretta il settore), sia per la crescente competizione sui mercati internazionali, l’eventuale supporto che arriverà dall’Ue dovrà essere inserito in una più ampia strategia. Come notato da Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad (la federazione che riunisce le aziende europee dell’aerospazio, difesa e sicurezza) bisogna “far ripartire tutti i programmi, immediatamente, così da dare lavoro alle aziende italiane; i progetti già ci sono, a prescindere dal Recovery Fund, il problema è che i finanziamenti sono bloccati”. Poi, c’è da riformare la legge 808 del 1985, da 35 anni riferimento importante per il settore: “Oggi è diventata un mutuo; l’esigenza è invece di risorse dinamiche e definite, che ci permettano di trasformare i programmi in prodotti”. Alla lista si aggiunge la piena attuazione del GtoG (gli accordi governo-governo) così da sostenere un export in calo ormai dal 2016.

UN PIANO DI SETTORE

L’obiettivo è avere una quadro di riferimento che dia certezza, finanziaria e programmatica, al comparto industriale. L’idea su cui si lavora tra Mise e Difesa è un “Piano di settore”. Consentirebbe, ha spiegato Festucci, “di mettere in piedi un meccanismo che faccia procedere rapidamente dalla fase di ricerca alla realizzazione di prototipi, cosa oggi molto difficile”. Un Piano, ha scritto su queste colonne il sottosegretario Gian Paolo Manzella (che segue i lavori del Mise per aerospazio e difesa), che “come fecero quelli degli anni 90 e come avviene in ordinamenti di altri Paesi, indirizzi in maniera organica le future scelte di policy”. In altre parole, si tratterebbe di un approccio sistemico all’individuazione dei bisogni operativi della Forze armate e delle capacità tecnologiche delle aziende, trasformando il tutto in progetti chiari con fondi precisi per il loro finanziamento. In prospettiva, l’ambizione maggiore è per una legge pluriennale che assicuri copertura finanziaria nell’arco di almeno cinque o sei anni. L’esigenza è stata evidenziata dal ministro Lorenzo Guerini sin dall’insediamento a palazzo Baracchini.

I PROGRAMMI DEL FONDONE

Qualche segnale è arrivato la scorsa settimana dal parere positivo delle commissioni parlamentari sui provvedimenti relativi alla ripartizione delle risorse del fondo finalizzato al rilancio degli investimenti delle amministrazioni centrali della Stato e allo sviluppo del Paese. Si tratta del cosiddetto “Fondone”, previsto dalla legge di Bilancio, ripartito attraverso appositi decreti del presidente del Consiglio, previo parere delle commissioni competenti. Per il dicastero della Difesa sono stati stanziati 2,4 miliardi per il periodo 2020-2034, cioè circa il 12% dell’intero fondo (terzo ministero per destinazione dopo Infrastrutture e Sviluppo economico). Uno stanziamento in calo rispetto agli anni passati. Nel 2017, dal Fondone erano arrivati per la Difesa 12,2 miliardi, oltre cinque volte rispetto a quanto previsto adesso.

I PROGETTI CHE PARTONO

Risorse comunque importanti per l’avvio di tanti programmi attesi dalle Forze armate e dall’industria nazionale. Il punto l’ha fatto di fronte alle commissioni il generale Antonio Conserva, a capo dell’Ufficio generale pianificazione, programmazione e bilancio dello Stato maggiore della Difesa. Tra i programmi in prosecuzione figurano il Soldato sicuro (relativo ai sistemi avanzati individuali di combattimento per le componenti terrestri delle tre Forze armate), l’elicottero leggero per Esercito e Carabinieri, il sistema di difesa anti-aerea a corto raggio per l’Aeronautica e il veicolo multiruolo leggere Lince 2, seconda versione del mezzo più usato nelle missioni internazionali dai militari italiani. Di nuovo avvio sono invece la nuova sala operativa del Comando operativo di vertice interforze (il Coi basato a Centocelle, attualmente alla guida del generale Luciano Portolano), il veicolo multiruolo medio Orso, quello blindato anfibio, il nuovo cacciatorpediniere per la Marina e una nuova unità logistica oltre a Nave Vulcano. In prosecuzione, ma coperti con le risorse destinate al Mise, ci sono tra gli altri il blindo Centauro, il sistema missilistico Camm-Er, l’elicottero NH-90, il sommergibile U212 e i velivoli Eurofighter e Tornado, questi ultimi per un aggiornamento di mezza vita che ne consenta l’operatività fino al 2027.

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