Skip to main content

F-16 dalla Germania ad Aviano? Più facile a dirsi che a farsi. Parola della US Air Force

Sono ancora nella fase iniziale i preparativi per il ritiro delle truppe statunitensi dalla Germania. Con la spinta del presidente Donald Trump ufficializzata lo scorso luglio, il piano prevede il ritiro di circa un terzo delle truppe americane attualmente presenti nel paese (11.900 su circa 36mila unità). In un incontro con la stampa tenutosi ieri e riportato da DefenseNews, il generale Jeffrey Harrigian (comandante delle forze aeree Usa in Europa e Africa e già comandante dell’Allied air command Nato presente nella base tedesca di Ramstein, nel sud-ovest della Germania) ha sottolineato come ci sia ancora molto da fare per attuare il piano, compreso l’eventuale spostamento degli F-16 statunitensi presenti in Germania verso la base a stelle e strisce di Aviano, in Friuli. Con le elezioni Usa in avvicinamento, aumenta l’incognita sulla reale attuazione del progetto trumpiano, tra le resistenze dei vertici militari e il rischio di un cambio di rotta dopo il voto.

I PREPARATIVI PER LO SPOSTAMENTO DEGLI ASSET AEREI

Durante la conferenza stampa, il generale Harrigian ha tenuto a precisare come i piani per il ridispiegamento dello squadrone di caccia F-16 (480th Fighter Squadron) presente nella base di Spangdahlem, nell’ovest della Germania a poca distanza in linea d’aria dal confine con il Lussemburgo, verso la base friulana di Aviano siano ancora in fase di progettazione. Sebbene, come sottolineato da DefenseNews, la base italiana abbia le caratteristiche idonee ad ospitare questo tipo di velivoli (essendo il punto di lancio di altri due squadroni di F-16 Usa), sono diversi gli aspetti da dover considerare prima di spostare mezzi e uomini al di là delle Alpi. “Abbiamo un notevole carico di lavoro davanti a noi al fine di comprendere i necessari dettagli per muovere tutto, dagli aerei all’equipaggiamento collegato alla loro gestione”, ha detto Harrigian. L’obiettivo, riprendendo le parole del generale, è quello di assicurare che lo spostamento non mini le capacità operativi delle forze aeree statunitensi presenti nella regione. Altro punto fondamentale per Harrigian si lega alla gestione delle famiglie al seguito dei top gun e dello staff della base tedesca. “La cosa più importante per noi mentre lavoriamo a tutto questo – ha concluso Harrigian – è assicurarci che stiamo sviluppando un piano che tiene in considerazione il nostro personale e le loro famiglie, così che possano comprendere quale sarà il loro futuro”

UN RITIRO CON VISTA SULLE ELEZIONI PRESIDENZIALI

Diversi esperti e studiosi, come l’ambasciatore Stefano Stefanini su queste colonne, hanno sostenuto che la mossa di Trump potrebbe essere legata più alle dinamiche di politiche interna e agli attriti con la cancelleria di Angela Merkel, che a una totale revisione della presenza Usa nel Vecchio continente. Se, in caso di rielezione di Trump, c’è da aspettarsi che la Casa Bianca continui con questa politica, quali potrebbero essere i possibili scenari connessi ad una vittoria dello sfidante Joe Biden? I lunghi tempi di attuazione del piano, infatti, potrebbero essere favorevoli per un’inversione a 180 gradi dalle politiche varate da The Donald. Un’inversione che ambienti vicini allo sfidante democratico sembrano dare per certa: “rivedremo tutte le decisioni prese dal presidente Trump, inclusa questa” aveva detto Antony Blinken, senior adviser di Biden per la politica estera, in un’intervista rilasciata alla Reuters l’8 luglio scorso. Una posizione rimarcata dallo stesso Biden, lo scorso giovedì, in un’intervista fatta dal giornale statunitense Stars and Stripes. “La prima cosa che farò e non sto scherzando – ha detto l’ex vicepresidente dell’amministrazione guidata da Barack Obama – sarà quella si chiamare i capi di Stato [alleati] dicendo loro che l’America è tornata e che possono contare su di noi”.

ROTTA VERSO VARSAVIA

Oltre all’Italia e al Belgio, le truppe statunitensi presenti nelle basi della Repubblica Federale Tedesca verranno redistribuite anche in Polonia. Lo scorso agosto, il ministro della Difesa polacco Mariusz Blaszczak e il segretario di Stato Mike Pompeo hanno firmato il cosiddetto Enhanced defense co-operation agreement (Edca), che prevede l’arrivo sul territorio di mille soldati statunitensi. Queste truppe si aggiungeranno alle 4.500 già presenti nello Stato, come già previsto dalla Joint declaration on defense cooperation siglata dai due Stati nel giugno del 2019. Tra i pochi Paesi dell’Alleanza ad aver già raggiunto l’obiettivo del 2% stabilito nel vertice del Galles del 2014, la Polonia ha rafforzato i legami con Washington proprio durante l’amministrazione guidata da Trump.

I TEMPI DELL’OPERAZIONE E IL RUOLO DELL’ITALIA: IL COMMENTO DELL’AMBASCIATORE STEFANINI

In un’intervista rilasciata a Formiche.net lo scorso luglio, l’ambasciatore Stefanini prendeva in considerazione sia i tempi del ritiro statunitense sia il possibile ruolo dell’Italia in questa vicenda. “Prima di tutto, occorre notare – affermava l’ambasciatore – che il piano sarà definito nell’arco di mesi ed effettuato nell’arco di anni. Sarà dunque sub iudice per diverso tempo, e sicuramente non sarà attuato nei sei mesi che passano da qui al 20 gennaio, quando ci sarà l’inaugurazione della prossima presidenza americana. Nel caso di un cambio di amministrazione, potrà dunque essere rivisto”. “Per l’Italia – continuava Stefanini – si può immaginare il desiderio di rafforzare le capacità sul fronte del Mediterraneo, un elemento che il nostro Paese ha tra l’altro sempre chiesto. Un rafforzamento della presenza militare americana (e dunque della Nato) sul fronte del Mediterraneo risponde a un’esigenza che abbiamo sempre rappresentato e che dovrebbe venire incontro alla nostra priorità: un’Alleanza impegnata su tutti i fronti, con il bonus aggiuntivo di non accrescere le tensioni con Mosca, altra dinamica che l’Italia vuole evitare.”

L’IPOTESI AFRICOM

Resta in piedi l’ipotesi di spostare da Stoccarda il comando Usa con responsabilità sull’Africa (AfriCom) a Napoli, dove gli Usa hanno il comando delle Forze navali in Europa e Africa, dove hanno la Sesta flotta e dove l’Alleanza schiera uno dei suoi tre “Joint Force Command”, quello comprensivo dell’Hub per il Sud. Come notava Formiche.net, rispetto agli altri eventuali dispiegamenti in Italia (“uno squadrone caccia ed elementi di una fighter wing”, che di solito comprende tre squadroni), quello di AfriCom riguarderebbe meno unità (un migliaio), ma avrebbe senza dubbio un più elevato valore politico. Darebbe ulteriore centralità all’Italia nell’azione Usa e Nato verso il fianco meridionale, tra l’altro in un momento di attenzione crescente per le dinamiche di sicurezza che riguardano l’Africa, lì dove si concentrano anche le grandi novità delle missioni militari italiane per il 2020: Libia, Golfo di Guinea e Sahel.



×

Iscriviti alla newsletter