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Armi letali in Bielorussia? Stress test per Mosca e Bruxelles

Il viceministro dell’Interno della Bielorussia, Gennady Kazakevich, ha fornito con una dichiarazione la più valida delle motivazioni per permettere all’Europa di dare seguito a quanto pensato durante la ministeriale Esteri del Consiglio Ue. “Non lasceremo le strade, e gli agenti delle forze dell’ordine e le truppe speciali useranno equipaggiamento antisommossa e armi letali se necessario”, ha detto Kazakevich, parole che da sole giustificano la volontà dell’assise europea di colpire con nuove sanzioni Minsk. Secondo quanto emerso dalla riunione lussemburghese del Consiglio, stavolta potrebbe esserci anche Aleksander Lukashenko tra i sanzionati: è una volontà che sembra arrivare ancora una volta dalla Germania, e su cui Berlino ha fatto pesare la propria leadership per costruire il consenso tra i 27 (non scontato). Il presidente è alla base delle proteste che da due mesi infiammano la Bielorussia. Rieletto con votazioni che l’Ue ha definito già “né eque e né libere”, dal 9 novembre — giorno in cui il mandato pre-elettorale scadrà — non sarà più considerato legittimo presidente da Bruxelles. Una formalità tecnica che lascerebbe agli europei mani più libere per sanzionarlo. Il suo nome dunque potrebbe aggiungersi a quello di una lista di 40 papaveri del regime che già subiscono limitazioni di viaggio e congelamento dei fondi dall’Ue, che li incolpa e delle elezioni truccate e delle repressioni.

Il livello di violenza negli ultimi giorni è cresciuto. Lunedì, sull’onda dell’ultimo weekend di manifestazioni, sono state arrestate oltre 700 persone. La gran parte di queste sono cittadini esausti che non sopportano più la presenza al potere di Lukashenko e del suo clan, che dura ininterrottamente dal 1994. Molti sono anche indignati per la gestione debole della pandemia, che il batka bielorusso ha minimizzato ridicolizzando la situazione come se fosse un’utile isteria collettiva. Ma in mezzo alle manifestazioni iniziano a essere presenti anche frange aggressive: è la conseguenza logica del perdurare della crisi. Circostanza che rende ancora più delicato il quadro. Il regime di Minsk sulla situazione mantiene una doppia linea. Se da una parte non rifiuta un’interlocuzione informale con i leader dell’opposizione — frutto anche della pressione russa — dall’altra non ha intenzione di legittimare in alcun modo la piazza. È anche questa una volontà russa: Mosca non vuole che al potere resti necessariamente Lukashenko (anche al Cremlino ne percepiscono limiti logici), ma sente come necessario che la Russia Bianca sia guidata da un sistema di potere amico che non pensi a spostamenti dell’asse geopolitico. Contemporaneamente per il governo russo è impensabile che un processo di ricambio o transizione sia frutto di proteste: troppo grande il rischio di creare un pericoloso precedente appena oltre i propri confini.


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