Agenzia Nova ha un’informazione importante riguardo alla sorte dei pescatori siciliani che sono stati catturati a Bengasi, nella Libia orientale, dalle unità del Libyan National Army (Lna), ossia la milizia che risponde agli ordini del signore della guerra Khalifa Haftar – il generale che ha cercato lo scorso anno di rovesciare il governo onusiano Gna, provando a conquistare Tripoli (missione fallita per l’intervento della Turchia a sostegno delle forze della Tripolitania).
Spiega Nova che una fonte vicina all’Lna ha riferito che gli Emirati Arabi Uniti stanno portando avanti una mediazione tra Roma e gli uomini di Haftar per liberare gli otto marittimi italiani, dopo che le autorità della Cirenaica avrebbero chiesto in cambio il rilascio di quattro cittadini libici condannati in Italia in via definitiva per traffico di esseri umani. La fonte ha precisato che “i funzionari degli Emirati hanno effettuato una lunga telefonata con uno dei leader dell’Esercito nazionale per coordinare i dettagli del negoziato e per discutere le modalità per liberare i detenuti di ciascuna parte con soddisfazione di ambo le parti”.
La telefonata, ha aggiunto la fonte, ha avuto luogo “in un clima positivo che fa sperare in una possibile svolta nella crisi”. Il “clima positivo” è certamente frutto dell’alleanza tra Abu Dhabi e gli haftariani: i primi forniscono armi e finanziamenti alle ambizioni dell’Est libico, i ribelli garantiscono due generi di interessi strategici agli emiratini. Primo permettono uno scontro proxy con la Turchia, nemica emiratina nell’ambito della faida intra-sunnita che riguarda tanto la geopolitica quanto l’interpretazione dell’Islam. Secondo, la Cirenaica è un punto di approdo della strategie dei porti con cui gli Emirati si vogliono proiettare all’esterno (e fornire un’utility da agganciare alle Vie della Seta cinesi).
La questione dei marinai è scabrosa. La Libia considera le acque territoriali doppie rispetto al diritto internazionale per via di una dichiarazione unilaterale di epoca gheddafiana che l’Italia non ha mai contestato con forza. L’arresto dei pescatori mentre cercavano il gambero rosso è considerata un’operazione di diritto dalle unità haftariane, sebbene amministrino quella regione di Paese senza alcun genere di diritto internazionale – soltanto il Gna è infatti riconosciuto come governo legittimo libico. In questo si fonde anche la possibilità che Haftar abbia reagito di rappresaglia contro l’Italia.
Ultimamente Roma infatti si è mostrata molto meno aperta al dialogo con il wannbe-uomo-forte della Cirenaica, scavalcato nel complesso sistema negoziale in corso dalle posizioni più dialoganti assunte da Aguila Saleh, presidente del parlamento HoR (istituzione formalmente riconosciuta dall’Onu perché ultima assise eletta prima delle guerre civili). Haftar indispettito per la minore considerazione concessagli dall’Italia avrebbe reagito contro la parte più molle delle relazioni, quei pescatori che per necessità a volte si trovano a muoversi lungo i confini marittimi del Mediterraneo.
Sul caso lavora l’Aise fin dall’inizio di settembre, quando le due imbarcazioni degli otto italiani (con altri colleghi tunisini) erano stati presi in ostaggio. Le attività, come prassi in questi casi, sono tenute sotto traccia per evitare che si alterino i contatti. Sebbene le forze di opposizione in Italia abbiano cercato di sfruttare la situazione anche per fini politici, e a Mazara del Vallo ci siano state forti proteste per l’apparente inattività del governo, l’intelligence è piuttosto attiva, ma certe operazioni procedono con delicatezza e lontano dai riflettori.
Roma aveva già chiesto ad Abu Dhabi di poter intercedere con Haftar, visti i migliori rapporti. Stessa istanza era stata avanzata a Mosca, altra forza protettrice di Haftar – e non è escluso che nell’ambito dei colloquio che intratterrà il ministro degli Esteri Luigi Di Maio nel suo viaggio in Russia dei prossimi giorni non si parli anche di questo dossier. Certe operazioni sono spesso incrociate con altre intelligence e realtà locali, come dimostra la liberazione della cooperante Silvia Romano dai jihdisti somali, chiusa grazie all’aiuto dei servizi turchi; e come dimostra la recentissima liberazione dei due italiani tenuti in ostaggio dai qaedisti maliani, arrivata grazie alla mediazione di uno sherpa tuareg.