“L’Unione europea sta abbandonando la diplomazia e la sta sostituendo con le sanzioni”, ha detto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov durante la conferenza stampa a margine della visita a Mosca dell’omologo italiano Luigi Di Maio, che ricordava “l’importanza di un dialogo inclusivo con tutti” ma chiedeva alla Russia di “un’indagine seria” su quanto successo al leader dell’opposizione anti-Putin, Alexei Navalny, avvelenato oltre un mese fa. La vicenda misteriosa è l’oggetto delle sanzioni che in una riunione odierna dei leader Ue sono state comminate a sei figure dell’amministrazione russa e all’Istituto statale di ricerca scientifica per la chimica e la tecnologia organica (Gos-NIIOKhT). L’Europa – guidata sulla linea dalla Germania – ritiene Mosca responsabile dell’accaduto.
A loro volta le sanzioni sono aspetto centrale del volume presentato al Senato “Geopolitica e commercio estero”, curato da Paolo Quercia e Zeno Poggi – con prefazione del sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto (Pd) e di Adolfo Urso (FdI), ex viceministro al Mise con delega proprio al commercio estero. Edito da Rubettino, il libro è la sintesi del Terzo Rapporto del progetto Awos, A World of Sanctions, piattaforma di confronto pubblico-privato, studio e analisi delle sanzioni economiche e dell’export control fondata da Quercia e Poggi.
“Stiamo vedendo crescere il numero di entità che all’interno dei vari Paesi vengono messe sotto sanzioni. Non si tratta di fatto di embargo, ma di misure che vanno a colpire individui, aziende, organismi, fino per esempio a singole navi, che vengono inseriti nelle black list”, spiega a Formiche.net Quercia, docente di Studi strategici all’Università di Perugia. È il caso appunto della reazione Ue sul caso Navalny, ma anche – sempre per restare sulla cronaca – di quanto successo recentemente con la Bielorussia, dove Bruxelles ha deciso di sanzionare una quarantina di quadri del regime di Minsk ritenuti responsabili dei brogli elettorali alla presidenziali e delle repressioni contro l’opposizione.
“Non ci sono più tanto sanzioni come quelle del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che valgono in termini internazionali e mirano più gli Stati. Adesso ci troviamo davanti a più sistemi, per certi versi spezzettati: solo nella sfera occidentale abbiamo un sistema americano, uno europeo (che non è totalmente unito) e uno inglese post-Brexit. Spesso si muovono blocchi di Paesi vero, ma a volte no: il caso bielorusso è un esempio interessante su come la reazione europea sia stata spacchettata. Abbiamo avuto i Baltici che hanno colpito subito il presidente Lukashenko, e lo stesso ha fatto indipendentemente il Regno Unito; mentre l’Ue, che ha fatto sanzioni due mesi dopo, non ha inserito il presidente bielorusso; cosa che gli americani invece avevano già fatto prima”, spiega Quercia.
Sanzioni sempre più personalizzate significa che i sistemi sanzionatori spesso non sono completamente condivisi dalla Comunità internazionale, e come appunto nel caso contro-Minsk vari Paesi hanno agito secondo interessi diretti. I Baltici per esempio soffrono la pressione russa, e dunque sono stati più severi anche in forma personale; così come lo è stato Londra che ha un contenzioso duro aperto col caso-Skripal. “Le sanzioni a loro volta aprono poi alle cosiddette contro-sanzioni, ossia alle rappresaglie degli Stati sanzionati contro i sanzionatori. È il caso della Russia contro l’Ue e gli Usa (il professore si riferisce alle misure post-Crimea, ndr) o alla lista che sta preparando la Cina. È la conseguenza di questa frammentazione: sempre più sanzioni, sempre meno unilaterali, sempre più diversificate, e questo crea la possibilità di colpire, contro-colpire frammenti del sistema economici e finanziari dei vari Stati”.
La specificità delle misure sanzionatorie, al di là delle diversità fra Stati, ha permesso di evitare i grandi embarghi degli anni Novanta, che si portavano dietro dei grossi costi umanitari – e “avevano dubbia efficacia”, aggiunge Quercia, “quelle attuali invece sono un gioco tattico che fa più male, più mirato, che si presta a una possibilità di incremento e pressa di fatto gli Stati colpiti sebbene si concentri su obiettivi specifici”. In questi giorni per esempio si parla anche della possibilità che l’Ue allarghi a Lukashenko un nuovo pacchetto di sanzioni che pressi ancora di più la leadership di Minsk. È il punto di contatto che nella più aggiornata National Security Strategy statunitense vede individuare la sicurezza economica come tema di sicurezza nazionale: “Un’unica strategia dove il terreno economico è considerato un campo di conflittualità e sicurezza appunto. Lo strumento economico è usato come strumento di sicurezza nazionale”, spiega Quercia.
Entriamo qui nel tema della sicurezza economica, altro argomento del volume: ossia, in sintesi estrema le sanzioni funzionano quando colpiscono Paesi con scambi economici e commerciali. Sotto questo punto di vista, spiega Quercia, “è difficile raggiungere un obiettivo politico sanzionando la Corea del Nord, perché è tutta sanzionata. Come a breve lo sarà l’Iran. Gli Stati iper-sanzionati che non vogliono piegarsi man mano accettano le misure e si adattano a vivere in un mondo limitato o cercano vie per svicolare (per esempio adesso una forma è l’uso delle criptovalute)”. Per questo le sanzioni contro il Cremlino, i suoi uomini e i suoi organismi, risultano ancora efficaci: la Russia è un partner importante dell’Ue, ed un’economia che ha necessità di essere ampia per mantenere una macchina statale molto onerosa.
“Le sanzioni non servono tanto a colpire un Paese nemico, col quale si presume che ci siano una quasi totale interruzione dei rapporti, ma gli Stati con cui si hanno relazioni. Però questo apre anche a un problema di sovranità economica. Ossia, non si può essere neutrali rispetto a un sistema sanzionatorio”, spiega Quercia. Nel momento in cui le sanzioni crescono, o sei tra coloro che sanzionano o tra quelli che le subiscono. Automaticamente chi cerca di restare neutrale viene danneggiato, secondo l’analisi del professore: “Le sanzioni acquisiscono un profilo politico. Certo, aderire alle sanzioni significa pagare un prezzo economico, ma chi non aderisce rischia di subire allo stesso modo gli effetti secondari. Se non applico anche io le sanzioni, rischio che le mie entità finiscano a subire le sanzioni di un altro Paese”. E qui si chiude il cerchio: le sanzioni più sono multilaterali e coordinate e più sono efficaci.