A breve sarà reso noto il nome del prossimo direttore dell’Esa che dovrà gestire i 14,5 miliardi stanziati un anno fa dai 22 Stati membri. Nonostante l’importanza della nomina però, il baricentro decisionale dello Spazio è sempre più spostato a Bruxelles in una diarchia franco-tedesca. E l’Italia? L’opinione dell’ingegnere ed esperto aerospaziale
La nomina del prossimo direttore dell’Agenzia spaziale europea (Esa) è in dirittura di arrivo. Sarebbero già state espletate le interviste degli otto candidati, di cui due italiani, da parte della commissione composta dai vertici del Consiglio e del Comitato amministrativo e finanziario dell’ente.
L’Esa ha una dotazione di 14,4 miliardi di euro per i prossimi tre anni, il budget più alto della sua storia, e l’anno scorso l’Italia ha investito la cifra record di 2,2 miliardi di euro dopo la Germania, che ha stanziato 3,3 miliardi, e appena sotto la Francia con 2,6 miliardi. Appare quindi comprensibile, oltre che ovvia, l’azione del governo italiano nell’appoggiare una candidatura nazionale per questa posizione apicale. Senza entrare nel merito del fatto che presentare due candidati potrebbe indebolire la negoziazione, pare evidente il tema politico della governance dello Spazio in Europa, con conseguenze anche per il nostro Paese.
Su queste colonne avevamo notato come il vero dominus politico di questo settore strategico è, e sarà sempre di più, il francese Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato Unico, l’Industria, la Difesa, il Digitale e lo Spazio. Pochi mesi fa, aveva dichiarato (vedasi Les Echos del 23 gennaio scorso) che l’incidente occorso ai satelliti Galileo (nel luglio 2019 tutta la costellazione dei 22 satelliti europei di radiolocalizzazione andò fuori servizio per sei giorni) era stato un evento “non accettabile” da cui trarre le opportune lezioni per razionalizzare la governance dello Spazio. Il risultato immediato fu l’esonero del direttore esecutivo della Galileo Supervisory Authority (Gsa), l’italiano Carlo Des Dorides che occupava quel ruolo dal 2011. Basata a Praga, la Gsa è l’ente dell’Unione che gestisce Galileo, ma nelle intenzioni di Bruxelles dovrebbe diventare l’agenzia per tutti i futuri programmi spaziali. In realtà, a spingere in questa direzione sinora era sempre stata la Francia a fronte di una certa contrarietà tedesca, che però adesso appare sfumata. Nel frattempo alla guida della Gsa è stato appena nominato un portoghese il quale insieme a un francese e a un inglese (sembra una barzelletta ma purtroppo, per noi, manca l’italiano) costituirà il team dirigenziale dei prossimi anni.
Inevitabile una riflessione: come è possibile che un Paese come il Portogallo che contribuisce al bilancio dell’Esa con soli 102 milioni di euro, cioè lo 0,7% del budget totale, ottenga la direzione esecutiva di un ente che gestisce i satelliti strategici europei e che nel prossimo futuro potrebbe farlo anche per altri programmi spaziali? La spiegazione risiede nella geopolitica e nella geo-strategia di lungo periodo di Francia e Germania. Come in altri settori, lo Spazio è anche un terreno di supremazia politica in cui si sta riproponendo il dualismo tra Berlino, che dispone di fondi ingenti e di una rinnovata volontà di sviluppo industriale, e Parigi che dispone di tecnologie con cui punta a mantenere il suo ruolo di leadership.
Da tempo vari esponenti politici e industriali francesi criticano il principio cardine dell’Esa sul “giusto ritorno” (i contratti industriali a ogni Paese sono proporzionali a quanto il governo di quella nazione versa all’agenzia) e invocano un nuovo approccio che ottimizzi i costi e prediliga la competitività. Di fatto, ciò spingerà sempre più l’Esa verso modalità più vicine a quelle, dette “best value for money”, adottate dall’Ue. Per questo, il commissario Breton sostiene il rafforzamento dell’agenzia Gsa allargandone le competenze, e ciò nonostante l’iniziale forte contrarietà di Jan Woerner, il direttore generale tedesco dell’Esa ora in uscita. Questi nel 2019 stipulò con il governo di Lisbona un accordo (tuttora valido) per supportare la costituzione della prima agenzia spaziale portoghese alla cui testa fu nominata la sua assistente con un contratto di distacco dall’Esa stessa. All’epoca Manuel Heitor, ministro portoghese della scienza e della tecnologia, nel presentare il documento “Portugal Space 2030” disse che la posizione geografica delle Isole Azzorre, 1.500 chilometri a ovest di Gibilterra, rendeva l’arcipelago adatto all’installazione di siti per il lancio di satelliti e all’utilizzo di uno spazioporto a disposizione di società pubbliche o private. Insomma, il Portogallo, la cui economia è largamente influenzata dagli aiuti dell’Ue attuati sia con i fondi strutturali e sia con il cosiddetto “fondo di coesione” istituito dopo il Trattato di Maastricht, si candida come un nuovo polo logistico e infrastrutturale nel trasporto spaziale del prossimo futuro.
La questione deve essere letta in un’ampia ottica prospettica. La massiccia dipendenza dai satelliti nell’economia digitale – per esempio per le nuove tecnologie delle auto a guida autonoma di grande interesse tedesco – rende i futuri progetti spaziali non solo strategici ma anche commercialmente attraenti, e in quest’ottica Berlino sta supportando la sua industria aerospaziale per creare nuove realtà, dalle start-up alle medie e grandi imprese. Serviranno quindi siti di lancio e spazioporti geograficamente “controllabili”, da qui l’interesse tedesco per piattaforme nel Mare del Nord e alle Azzorre (leggasi qui).
In un prossimo futuro queste basi potrebbero essere dei “landing points”, orbitali o sub-orbitali, per poi portare nel continente europeo merci o persone dopo voli transoceanici. Fantascienza? Non proprio, è notizia di pochi giorni fa che il comando militare statunitense che sovrintende alle operazioni logistiche ha firmato un accordo con SpaceX di Elon Musk per studiare l’uso dei veicoli spaziali, come lo Starship, per il trasporto merci. Lo ha annunciato il generale Stephen Lyons, comandante dello US Transportation Command, con queste parole: “Pensate di muovere l’equivalente di un carico utile di un C-17 – l’aereo cargo militare da 70 tonnellate di carico, ndr – ovunque nel mondo in meno di un’ora”.
Conclusione: per il nostro Paese parlare di Space economy significa anche elaborare un’attenta riflessione geostrategica che contempli quali posizioni presidiare entro il prossimo decennio, altrimenti al di là di una poltrona in Esa rischieremo un involontario, o peggio forzoso, impoverimento industriale ed economico.