La diga Gerd in Etiopia è al centro di uno stallo messicano fra Egitto, Russia e Cina. Mentre il Paese sprofonda nella violenza, Putin e Xi gelano Al Sisi: non deve intervenire. Ecco perché
L’Egitto avrebbe ricevuto un avvertimento da Russia e Cina. Secondo fonti stampa locali, sia Mosca che Pechino hanno informato il Cairo del loro forte rifiuto riguardo qualsiasi genere di ostilità contro Addis Abeba, “in qualsiasi circostanza”, sottolineando che l’Egitto dovrebbe fare uno sforzo maggiore con l’Etiopia invece di intensificare il conflitto in quella regione.
La questione riguarda la grande diga sul Nilo, nota con l’acronimo Gerd (sta per Grand Ethiopian Renaissance Dam), che gli etiopi stanno portando avanti (molto avanti). Si tratterà del più grande sistema idroelettrico di tutta l’Africa, ma per gli egiziani significa più che altro dover accettare che qualcun altro eserciti sovranità sul Grande Fiume e privi l’Egitto di acqua (la diga infatti potrebbe limitare la portata del Nilo).
Il governo di Abdel Fattah al Sisi ha presentato le proprie condizioni per procedere al riempimento dell’invaso; il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, le ha sostanzialmente respinte definendole “un tentativo di mantenere il proprio dominio coloniale sull’allocazione delle risorse idriche e di continuare ad avere potere di veto su qualsiasi decisione che riguarda il progetto del Nilo”. Era l’inizio di ottobre: nell’arco di un mese la situazione è tutt’altro che migliorata.
Ora l’Etiopia si trova in mezzo a una guerra civile dai potenziali effetti regionali – il conflitto nelle ultime ore ha sconfinato in Eritrea, la cui capitale è stata colpita dai ribelli Tigray con alcuni razzi. Due instabilità che si sommano in un’area critica, dove le grandi potenze come Russia, Cina e Stati Uniti, cercano di esercitare influenza in una delicata presenza assieme a realtà minori come Francia, Italia, Giappone, Emirati Arabi. L’ambito geopolitico è quello del Corno d’Africa, avamposto talassocratico fondamentale perché collega Mediterraneo e Oceano Indiano.
Le pressioni di Mosca e Pechino per la de-escalation sono tanto più interessanti se viste in controluce con quanto recentemente è uscito dall’amministrazione Trump. A fine ottobre, il presidente Donald Trump ha detto che l’Egitto “finirà per far saltare in aria la diga” durante l’incontro con i giornalisti in cui raccontava l’andamento della normalizzazione dei rapporti col Sudan – paese inserito negli Accordi di Abramo, e parte in causa, sia geografica che politica, della regione e delle beghe della diga (Khartum è su una posizione simile a quella egiziana).
“È una situazione molto pericolosa perché l’Egitto non sarà in grado di vivere in questo modo”, diceva Trump in riferimento alla Gerd: “Finiranno per far saltare in aria la diga. L’ho detto e lo dico forte e chiaro: faranno saltare in aria quella diga. E devono fare qualcosa”, aggiungendo che “avrebbero dovuto fermare (il progetto) molto prima che iniziasse” e rammaricandosi del fatto che l’Egitto fosse in tumulto quando è iniziato il progetto dello sbarramento nel 2011 (frecciata all’amministrazione Obama, e al contender Joe Bide che ne era parte, che ha favorito le rivolte delle Primavere arabe).
Ad agosto, Washington ha approvato un taglio dei fondi Gerd fino a 130 milioni di dollari a causa della disputa del Paese con l’Egitto. Dietro a quanto sta succedendo c’è da leggere la situazione nella regione, dove la diga diventa un moltiplicatore di instabilità — come analizzato in queste colonne da Federico Donelli (UniGenova).
La posizione presa da Russia e Cina potrebbe dunque avere due generi di ragione. La prima è marcare una differenza con gli Stati Uniti: mentre Trump spiega di non biasimare l’Egitto se dovesse scegliere un’azione militare (sulla cui possibilità per altro Sisi ha già accennato nei mesi scorsi), Cremlino e Partito/Stato chiedono la de-escalation. Un modo per diffondere una narrativa contro-americana. La seconda ragione riguarda gli interessi diretti: l’Etiopia in subbuglio è cresciuta negli ultimi anni nell’agenda delle priorità cinesi in Africa e nel monte delle relazioni economiche; per Pechino la stabilità è la chiave della presenza geopolitica giocata attraverso lo storytelling del win-win e dell’armonia reciproca. La Russia fa allo steso modo attenzione al mantenimento di un equilibrio delicato (volatile come dimostra la crisi etiope) con particolare interesse al Sudan, dove costruirà una base militare con fini geo-strategici tra Mar Rosso e Corno d’Africa.