Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Somalia, cosa c’è dietro l’uccisione di un agente della Cia

La morte di un operativo della Cia in Somalia si inserisce all’interno del dibattito politico Trump-Biden sul ritiro o meno delle unità militari da alcuni teatri critici

Un operativo della Cia sarebbe morto in questi giorni in Somalia secondo le informazioni arrivate al New York Times tramite funzionari statunitensi. Le circostanze sono completamente fascicolate “top secret”, e non è chiaro se sia morto in combattimento oppure caduto vittima di imboscata. Non se ne conosce il nome, però si sa che era un ex Navy Seals (Team Six, l’unità che uccise Osama Bin Laden) e parte dello Special Activities Center, i “Black Ops”, ossia del raggruppamento paramilitare dell’agenzia – unità che spesso è chiamata compiere combat-mission del tutto simili a quelle delle forze speciali, ma ancora più segrete (praticamente il gruppo esiste-ma-non-esiste).

La vicenda è molto interessante se inserita nel dibattito politico che riguarda le missioni all’estero che il presidente Donald Trump vorrebbe stralciare sensibilmente prima della sua uscita dalla Casa Bianca, lasciando l’eletto Joe Biden in un complicato incrocio: accettare le riduzioni imposte dall’amministrazione uscente – e tutte le problematiche di sicurezza che ne conseguono – oppure ordinare un successivo rafforzamento per far fronte al ritiro trumpiano, e rischiare di finire vittime delle critiche dell’opinione pubblica? La morte dell’operativo della Cia che finisce sui giornali in questo momento è slancio per questa discussione.

L’amministrazione Trump, secondo una bozza di un ordine esecutivo che nelle scorse settimane (che riguarda anche Iraq e Afghanistan), programma di ritirare tutti gli oltre 700 militari che stazionano in Somalia col compito di addestrare le truppe locali che si trovano – deboli – a fronteggiare la minaccia terroristica rappresentata dagli Shabab, fazione qaedista spietata e in continua espansione. A proposito dei jhadisti somali, gli esperti di contro-insorgenza terroristica americana sono divisi: c’è chi pensa che siano una minaccia che riguarda sia l’Africa che gli interessi americani in Africa, ma che abbia solo dimensione locale, e c’è chi crede che possano diventare una problematica regionale approfittando delle debolezze statuali attorni e trasformarsi una sorta di stato islamico africano.

Le missioni contro gli Shabab sono aumentate sensibilmente negli ultimi anni: di solito sono condotte dai droni, secondo un programma che la nuova Direttrice della National Security conosce piuttosto bene e che probabilmente non intenderà ridurre. A guidare la caccia dall’alto contro i leader jihadisti somali – diversi dei quali sono stati uccisi – è proprio la Cia, che per farlo si serve anche di intelligence sul campo. Potrebbe essere questa una delle circostanze in cui l’operativo è rimasto ucciso in questi giorni: un blitz o un’operazione di spionaggio scoperta. L’intelligence, seguendo la minaccia contro gli Usa lanciata dagli Shabaab a marzo di quest’anno, ritiene che la qualità degli attacchi jihadisti in Somalia potrebbe anche aumentare.

Seguendo la traccia del terrorismo trans-nazionale, alcuni elementi somali sono stati arrestati nelle Filippine mentre seguivano training per guidare aerei, e la Cia ha intercettato traffici di Manpads terra-aria che sarebbero dovuti arrivare in mano ai terroristi africani. Anche per questo, i generali e i gli alti funzionari di intelligence americani hanno convinto Trump a escludere dal ritiro ventilato le unità che si trovano in Kenya e Gibuti – dove sono basati i droni. “Nonostante molti anni di continua pressione antiterrorismo somala, statunitense e internazionale, la minaccia terroristica in Africa orientale non è degradata. […] Shabab mantiene la libertà di movimento in molte parti della Somalia meridionale e ha dimostrato la capacità e l’intenzione di attaccare al di fuori del paese, anche prendendo di mira gli interessi degli Stati Uniti”, ha concluso l’agenzia per lo Sviluppo internazionale del Pentagono in un report uscito mercoledì.

Sul ritiro dalla Somalia pesa il contesto interno e regionale. La mossa infatti arriverebbe in un momento delicato, con il paese che nei prossimi tre mesi va incontro alle elezioni parlamentari (dicembre) e presidenziali (febbraio): gli Shabab potrebbero sfruttare il momento del voto per portare a termine attacchi spietati. Non solo: al di là della questione securitaria interna infatti c’è un elemento che riguarda l’intera regione, dove la Somalia è indebolita dalla presenza terroristica che rischia di dilagare anche nei paesi limitrofi, l’Etiopia sta scivolando in un pericolo conflitto civile che tocca anche l’Eritrea.

Tutto nel contesto altamente strategico e sensibile del Corno d’Africa, dove gli Stati Uniti devono difendere i propri interessi da quelli sovrapposti di competitor e rivali (come Cina e Russia). La Somalia diventa da aggiungere ai dossier caldi che Biden si troverà davanti. Ieri il Consigliere per la Sicurezza nazionale nominato dall’amministrazione Biden, Jake Sullivan, ha twittato per la prima volta dopo aver ricevuto l’incarico proprio esprimendo preoccupazione per la crisi etiopie e chiedendo una de-escalation per evitare crimini di guerra e l’allargamento del conflitto.

(Foto: un comamandos dello Special Activities Center della Cia da qualche parte del mondo)

×

Iscriviti alla newsletter