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Dal Nagorno-Karabakh la nuova strategia russa nei Balcani?

Pomacchi, Kosovari e minoranze balcaniche: chi soffia sul vento separatista investe strutturalmente sull’indebolimento del fronte Nato e della politica Ue di allargamento

A piccoli passi verso un altro risiko balcanico? Il Nagorno-Karabakh assomiglia, dopo l’accordo anti-armeno, alla Crimea e al Donbass. Ovvero Mosca sostiene varie tendenze separatiste al fine di poter influenzare gli sviluppi politici in questi stati. Lo stesso starebbe facendo nei Balcani (dove la Cina ha investito già massicciamente) per poter avere un potere permanente, come si inizia a raccontare nei circoli diplomatici. Pomacchi, Kosovari e minoranze balcaniche: chi soffia sul vento separatista investe strutturalmente sull’indebolimento del fronte Nato e della politica Ue di allargamento che vorrebbe scommettere lì su una nuova agorà commerciale. 

NAGORNO-KARABAKH

Persa la “guerra” con gli Usa in Albania e Macedonia del nord, avviate sostanzialmente all’ingresso in Ue, la Russia punterà sul Kosovo (dove il presidio Kfor darà filo da torcere) che potrebbe nelle intenzioni russe diventare un nuovo Nagorno-Karabakh? Lì infatti le tensioni interne non sono mai state risolte davvero: al posto degli armeni ci sarebbero gli albanesi e al posto degli azeri i serbi, con cui Mosca ha un costante dialogo. Al momento è una ipotesi al vaglio di analisti e addetti ai lavori, ma gli indizi non mancano.

BULGARIA

Si prenda la Bulgaria: lo scorso ottobre, nel centesimo giorno consecutivo di proteste contro la corruzione, migliaia di persone si sono radunate davanti al Largo, il centro legislativo nazionale, per manifestare contro il sistema oligarchico urlando “ostavka” (dimissioni). Nel paese la libertà di stampa è una chimera: è classificata al 111mo posto nel mondo da Reporter senza frontiere. Inoltre pochi giorni fa il governo ha detto no al processo di adesione della Macedonia del Nord all’Unione Europea, mettendosi di traverso all’allargamento ai Balcani orientali e in più nel paese resta irrisolta la situazione dei pomacchi, che vivono in maggioranza proprio in Bulgaria, ma con minoranze presenti in Kosovo, Grecia, Turchia, Albania.

Il Pomakistan, mini stato indipendente, è uno spauracchio per il governo di Sofia: adesso i 500mila Pomacchi rappresentano una minoranza e di fatto una nazione che non c’è e potrebbero essere destinatari delle attenzioni russe proprio al fine di sostenere le loro pulsioni separatiste.

KOSOVO

I focolai di tensione proseguono nel Kosovo: l’accusa partita lo svorso 4 novembre dalla Procura specializzata del Kosovo contro Hashim Thaci, Kadri Veseli, Rexhep Selimi e Jakup Krasniqi di crimini contro l’umanità e crimini di guerra rappresenta un ulteriore elemento di instabilità politica interna. Ma al di là del procedimento giudiziario, rimane intatto il fronte di crisi con la Serbia.

Il Kosovo ha ufficialmente chiesto all’Ue e alla Nato di stigmatizzare la dichiarazione del presidente serbo Aleksandar Vučić che aveva ipotizzato, in caso di mancata soluzione alla loro atavica controversia, un conflitto armato tra i due paesi: sul tavolo lo schema andato in scena proprio tra Armenia e Azerbaigian.

VUCIC

Lo dimostrano le parole di Vucic: “Il conflitto del Nagorno-Karabakh ha mostrato come un conflitto congelato possa trasformarsi in una catastrofe. Dobbiamo imparare da ciò che è accaduto negli anni ’90, ma anche da ciò che è accaduto ora. Non dovremmo lasciare il conflitto congelato ai nostri figli. Il messaggio più importante per noi è il messaggio di pace e il desiderio di continuare il dialogo con Pristina e di capire che la soluzione migliore è la soluzione che possiamo e dobbiamo raggiungere attraverso il dialogo. Me meglio ottenerlo prima che poi, perché altrimenti potrebbe accadere qualche tipo di conflitto tra di noi”.

SCENARI

Il potenziale militare serbo negli ultimi anni è cresciuto esponenzialmente, attingendo da Cina e Russia forniture di caccia, carri armati, elicotteri, missili e droni. Mosca sta valutando anche l’apertura di un proprio ufficio del ministero della Difesa a Belgrado. Nello specifico si tratta dei lanciamissili antiaerei russi Pantsir e dei MiG-29. Gli Usa hanno reagito per bocca del membro del Congresso statunitense Eliot Engel, che ha avanzato ufficiale richiesta all’amministrazione statunitense di imporre sanzioni alla Serbia per l’acquisto delle armi russe. Belgrado come Ankara, dunque, che con l’acquisto del sistema missilistico russo S-400 si è posta da sola in una situazione di incompatibilità con la Nato.

Nei Balcani, dove anche la Turchia è ben penetrata, si ritrova un altro forte link con il caso Nagorno. Da più di un anno Serbia e Azerbaigian si sono sostenute a vicenda nelle relative controversie territoriali. Inoltre Baku si è spinta a concedere alla Serbia linee di credito infrastrutturali e un’impresa di costruzioni azera, AzVirt, ha terminato i lavori dell’autostrada Corridoio XI in Serbia.

twitter@FDepalo



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