La Corea del Sud è fredda davanti alle volontà (sempre più esplicite) americane di formare un blocco strategico anti-cinese. Le ragioni riguardano il rapporto con Pechino, protettore del Nord, dimensione naturale degli interessi esterni di Seul, spiega Felician Beccari, policy advisor del Parlamento europeo
Nella costruzione del puzzle strategico americano nell’Indo-Pacifico – di cui il mese appena concluso ha dato dimostrazioni nette come forse mai finora – manca un tassello importante: la Corea del Sud. La posizione di Seul è riassumibile nelle parole che il presidente Moon Jae-inn ha affidato a un suo consigliere: “Se gli Stati Uniti ci costringessero ad aderire a un’alleanza militare contro la Cina, sarebbe un dilemma davvero esistenziale per noi”.
Moon non parla direttamente, perché il protocollo diplomatico per quelli come lui (e per le leadership orientali, generalizzando) è sacro. Un’uscita del genere adesso, a pochi giorni da Usa2020, sarebbe stata eccessivamente sgarbata, ma il messaggio è chiaro. L’educazione protocollar-diplomatico di Moon non è casuale: la questione sudcoreana è di fatto, seppur con aliquota minima, presente nel rush finale del dibattito presidenziale statunitense.
Vedere per credere l’op-ed che il contendere democratico Joe Biden ha inviato alla Yonhap News Agency, pubblicato il 29 ottobre (ossia a meno di una settimana dal voto). Biden sostanzialmente promette di rilanciare le relazioni Seul-Washington, e mentre lo fa critica la politica sudcoreana dell’incumbet Donald Trump. Gioco facile, d’altronde: Trump ha avuto con l’alleato del Sud un atteggiamento molto duro, simile a quello tenuto con l’Europa.
Ha chiesto a Seul di contribuire maggiormente per la propria protezione (famosa la vicenda che riguarda il sistema da difesa aerea Thaad che gli Usa hanno inviato per proteggere il territorio sudcoreano da eventuali razzi del Nord, e su cui la Casa Bianca ha presentato il conto). La presidenza ha anche chiesto espressamente di ridurre sensibilmente il numero dei soldati presenti dalla fine della Guerra di Corea, la Us Force Korea. Tutto vincolato ad accordi di riequilibrio commerciale che secondo Trump sono base delle alleanze.
Che la situazione sia tesa lo dimostrano alcuni elementi apparentemente laterali: per esempio, alla conclusione del vertice militare bilaterale, che si tiene ogni anno, il comunicato non presentava cenni sulla continuazione della collaborazione così com’è. Tradotto, è in corso una rimodulazione, come ha ammesso il ministero della Difesa di Seul, e non è escluso sia a breve.
Il punto è che la presenza militare (più di due dozzine di migliaia di militari, terzo contingente al mondo per quantità tra gli impegni esterni degli Usa) dà continuità su una serie di direttrici. È il ruolo di fondo di alleanze del genere, tipo la Nato, che vanno ben oltre all’aspetto miliare. Ci sono le relazioni economico-commerciali, e poi c’è il valore strategico di questi tasselli nel grande disegno generale statunitense.
Tenere la Corea del Sud dentro al progetto è fondamentale, anche se ai sudcoreani l’idea di una “Nato-Asiatica” che possa nascere dall’implementazione istituzionalizzata del Quad e dall’inclusione di una serie di alleati regionali non è per niente allettante (per ora). “Aderire ad impegni vincolanti e multilaterali nella regione (ovvero a partner diversi dai soli Usa) è per Seul una questione di non facile gestione”, spiega a Formiche.net Stefano Felician Beccari, policy advisor del Parlamento europeo, autore di studi e ricerche nel quadrante dell’Asia-Pacifico.
Perché? “Innanzitutto perché la priorità strategica e di sicurezza nazionale del Sud resta il controllo del suo vicino, il Nord (formalmente i due Paesi non hanno ancora firmato un trattato di pace); in secondo luogo perché future organizzazioni regionali in chiave anticinese, più o meno esplicita, complicherebbero le buone relazioni di Seul con la Cina, e questo potrebbe spingere Pechino ad agire sulla Corea del Nord per mandare dei messaggi al Sud. Inoltre, essendo la Cina uno dei pochi stati che veramente dialogano e interagiscono con il Nord, converrebbe a Seul inimicarsi Pechino?”.
“Comunque vadano le scelte regionali di Seul, la Corea del Nord resta inevitabilmente il confronto principale e il termine di paragone per tutte le amministrazioni sudcoreane e le relative scelte geopolitiche e di sicurezza” – ricorda Felician Beccari, di cui è in uscita il 5 novembre il volume “La Corea di Kim: Geopolitica e storia di una penisola contesa”, Salerno Editrice –“anche se dagli ultimi anni la Corea del Sud sta allargando la sua capacità di proiezione strategica, per esempio in ambito navale.”
A proposito della Nato Asiatica, Felician Beccari aggiunge che nella regione esiste già un precedente, si tratta dell’organizzazione del Seato: “Una specie di Nato Asiatica; naufragata a fine anni ’70, che non si è mai spinta alle latitudini coreane; fino a oggi, nonostante molte iniziative bilaterali o conferenze multilaterali, manca una vera e propria organizzazione regionale nell’area”.