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Vienna, not in my name. La condanna del centro culturale islamico

Non sono mancate le condanne all’attentato di Vienna da figure di spicco del mondo culturale e religioso del nostro continente. Ecco tutte le dichiarazioni, dall’arcivescovo cattolico della capitale austriaca allo scrittore francese Marek Halter, ebreo di nascita polacco e sopravvissuto all’Olocausto fino al segretario generale del Centro Islamico culturale di Roma

L’Europa si risveglia di nuovo stordita dai colpi efferati del terrorismo islamista, questa volta a Vienna, ma trova conforto in alcune importanti dichiarazioni e azioni di carattere politico, culturale e religioso che vengono da figure di primo piano dei mondi religiosi del nostro continente.

La prima la firma il cardinale di Vienna, Christoph Schönborn, arcivescovo cattolico di Vienna. “L’odio non deve essere una risposta a questo odio cieco”, ha detto parlando all’emittente televisiva Orf. “L’odio genera solo nuovo odio” e questo è il modo sbagliato di reagire ai terribili eventi della notte scorsa.

L’agenzia di stampa Kathpress ha dato conto poi di queste parole ufficiali: “Continuate sulla strada della solidarietà, della comunità e del rispetto reciproco. Sono valori che hanno plasmato l’Austria. Anche se ora dobbiamo mantenere le distanze a causa della pandemia, non dobbiamo tenere a distanza i nostri cuori. Finché il calore nella nostra società è più forte della freddezza dell’odio, non dobbiamo scoraggiarci”.

La seconda dichiarazione di rilievo giunge dal segretario generale del Centro culturale Islamico di Roma, Abdellah Redouane, che in una nota ufficiale esprime assoluta condanna “di questi crimini compiuti in nome di ‘Allah Akbar’. Si tratta di un gesto satanico che la nostra comunità islamica deve condannare senza se e senza ma. Siamo chiamati come musulmani, non solo ad interagire con gli effetti di questi delitti, ma ad impegnarci nel debellare preventivamente queste azioni diaboliche al momento della loro semina e germinazione. I terroristi non devono trovare ambienti accoglienti o complici. Il silenzio e l’indifferenza sono una sorta di omertà inaccettabile. Dobbiamo bannare l’ambiguità e il doppio linguaggio dalla nostra retorica, dai nostri sermoni e dai nostri processi formativi ed educativi destinati particolarmente alle nostre nuove generazioni”.

Le parole con cui si conclude il comunicato sono altrettanto significative: “La patria appartiene a tutti i suoi figli senza alcuna distinzione di carattere religioso, culturale, etnico e linguistico, affinché possano vivere in sicurezza e pace. Concludiamo ribadendo con forza ancora una volta l’assoluta inviolabilità della vita, dei luoghi di culto e la preservazione della quieta convivenza. Perciò ogni atto di violenza non può trovare una giustificazione di alcun genere e soprattutto non può essere ‘in my name’”.

Il terzo fatto di rilievo è stato voluto dallo scrittore francese Marek Halter, ebreo di nascita polacco e sopravvissuto all’Olocausto. Lui guida il confronto previsto proprio in queste ore tra alcuni imam europei da lui coordinati e il ministro dell’interno francese. Avrà al suo fianco Hassen Chalghoumi, l’imam di Drancy, che vive sotto scorta per le molte minacce ricevute a causa della sua lotta contro fondamentalismo e antisemitismo.

Lette in questo contesto le parole del Segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, che assicura che “papa Francesco affida le vittime alla misericordia di Dio ed implora il Signore, affinché cessino violenza e odio e venga promossa la convivenza pacifica nella società” non sembrano più pura circostanza, come dicono alcuni.

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