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Somalia, così gli Usa guidano il ritiro (restando nel Corno d’Africa)

Trump ritira la maggioranza dei soldati dalla Somalia, ma una parte degli operativi verrà dislocata nelle aree limitrofe per continuare la lotta al terrorismo e mantenere l’equilibrio nella competizione tra potenze nel Corno d’Africa

“L’esercito americano non si ritira dall’Africa orientale”, è questo il passaggio più importante dello statement con cui l’AfriCom annuncia il ritiro entro il 15 gennaio della “maggioranza” degli effettivi schierati dagli Stati Uniti in Somalia – secondo una volontà dichiarata del presidente uscente Donald Trump e una tempistica già annunciata. “Le forze in riposizionamento dalla Somalia si stanno spostando verso Paesi partner in altri luoghi della regione per portare a termine le loro missioni”, spiega il comando africano del Pentagono, e sembra allo stesso tempo una rassicurazione per partner e alleati che ha un doppio valore. Primo, conferma che davanti alla crescente minaccia del terrorismo jihadista nel Paese e nella regione, gli Usa resteranno attivi. Secondo, annuncia ai rivali presenti nella regione – l’area strategica del Corno d’Africa – che non ci sarà un ritiro, ma soltanto un riposizionamento.

Una parte – “la maggioranza” – rientrerà, ma una quantità non certo secondaria sarà dislocata “nei paesi limitrofi”; potrebbero essere il Kenya oppure Gibuti, dove gli americani hanno delle basi aeree da cui decollano i droni che martellano in Somalia (e non solo) i miliziani jihadisti di al Shabab. Il gruppo di ispirazione qaedista è una minaccia non certo in diminuzione, basta guardare i dati: i raid nel 2020 sono stati 48, nel 2019 63, nel 2018 47 – sono partiti dal 2014, ma negli anni precedenti si parlava di poche decine di azioni mirate contro i leader, mentre attualmente le operazioni sono sulla media di quattro al mese, vale a dire una a settimana (praticamente, se si considerano i tempi per la preparazione, l’attività è quotidiana e dunque nevralgica).

È molto probabile che l’abbinamento di ritiro e nuovo posizionamento sia un compromesso tra le amministrazioni uscenti ed entranti, e le volontà delle strutture (Pentagono su tutte, ma anche intelligence e diplomazia). Per l’amministrazione Trump c’è il successo da rivendere ai fan e ai meno fanatici di aver ritirato gli Usa da una di quelle che il presidente uscente definisce “endless war” (come il presidente uscente definisce i fronti aperti dopo il 9/11 per combattere il terrorismo in vari teatri); contemporaneamente l’amministrazione Biden, con il mantenimento delle unità americane somale nella regione, ottiene salvaguardia sulla possibilità di decidere con discrezione e senza attirare troppo i riflettori dell’opinione pubblica su eventuali rinforzi in futuro.

La scelta trumpiana trova in effetti consensi orizzontali negli Stati Uniti. Tra i punti considerati controversi dall’opinione pubblica americana c’è il se gli Usa debbano spendere vite e soldi per operazioni di sicurezza oscure in parti remote del mondo in generale. Nei giorni scorsi il capo del Pentagono facente funzione è stato in Somalia, per rassicurare il governo locale sul ritiro; sempre nei giorni scorsi un black op della Cia è stato ucciso in un’operazione dagli Shabab.

“Sebbene sia un cambiamento nella posizionamento della forza, questa azione non è un cambiamento nella policy degli Stati Uniti “, ha spiegato il Pentagono. “Continueremo a degradare le organizzazioni estremiste violente che potrebbero minacciare la nostra patria, assicurandoci al contempo di mantenere il nostro vantaggio strategico in [un ambito] della grande competizione tra potenze”, dice AfriCom.

“Ridurre le nostre risorse in questo conflitto vincibile è un danno per i nostri partner africani in Africa orientale e non farà che incoraggiare il comportamento estremista di al Shabab nella regione”, spiega invece ad ABC News Eric Oehlerich, un ex Navy Seals un tempo operativo nella regione. Il ritiro americano arriva in un momento delicatissimo per il paese: in questo mese ci saranno le elezioni parlamentari, a febbraio le presidenziali. Fase in cui Shabab potrebbe approfittare per azioni devastanti. Ma non solo: la Somalia è inevitabilmente toccata dalle dinamiche interne bellicose dell’Etiopia, il cui esercito è alleato americano nel combattere Shabab.

(Foto: Tech. Sgt. Christopher Ruano/Combined Joint Task Force)


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