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Così il governo Draghi ha cambiato la corsa per il Campidoglio. E Conte…

Conte

Dopo la fine del governo giallorosso, ancora una volta a fare da collante tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle potrebbe essere Giuseppe Conte, ormai in procinto di lasciare Palazzo Chigi. Fantapolitica? Possibile, certo. Ma, come stiamo vedendo in queste ore, non si può mai dire mai

I destini di quel che resta dell’alleanza giallorossa di governo a quasi una settimana di distanza dal ritorno in grande stile di Mario Draghi sulla scena politica italiana passano, come e più di prima, dalla città eterna. Specie se a fare da collante dovesse essere Giuseppe Conte, ormai in procinto di lasciare Palazzo Chigi dopo una lunga permanenza iniziata nel giugno del 2018. Per la verità, dalle colonne del Corriere della Sera, Tommaso Labate ha lanciato la notizia che l’ormai quasi ex premier potrebbe candidarsi alle elezioni suppletive della Camera nel seggio lasciato libero da Pier Carlo Padoan. Lo stesso Conte, peraltro, ha smentito, seppur tenuamente, l’ipotesi di una sua corsa capitolina. Ma le vie del Campidoglio, com’è noto, sono infinite.

E’ a Roma e negli altri capoluoghi di regione al voto in occasione delle prossime elezioni amministrative che il Pd e il Movimento 5 Stelle proveranno a testare la tenuta di un progetto politico al momento, inevitabilmente, in stallo. Se le urne dovessero premiarli, potrebbero pensare di rafforzare l’intesa, che in questi mesi, a prescindere dalle posizioni assunte pubblicamente dai leader di entrambi i partiti, ha faticato non poco a carburare nel lavoro di tutti i giorni. Se invece, al contrario, le cose andassero male, non si può certo escludere che l’alleanza strutturale di cui tanto si è parlato da settembre 2019 in poi finisca per naufragare, forse definitivamente.

Considerazione valida in generale e ancor di più nel caso specifico della Capitale. Perché  l’impatto mediatico è diverso, perché la segreteria del Pd è romana e romanocentrica e perché si tratta della città in cui l’alleanza al momento appare più difficile da organizzare vista la presenza in campo della pentastellata Virginia Raggi, che ha annunciato in tempi non sospetti di volersi rincandidare. I dem però non ne vogliono sapere di appoggiarla e anche la maggioranza dei cinquestelle pare abbia più che altro subìto la decisione della prima cittadina.

L’empasse dura ormai da mesi e certo non si risolverà nei prossimi giorni, ma è indubitabile che gli effetti del terremoto che ha squadernato la scena politica a livello nazionale si sentano pure nella città eterna. A maggior ragione se fossero confermate le voci di una possibile candidatura dell’ormai quasi ex presidente del Consiglio.

In realtà Conte ieri l’ipotesi l’ha pure smentita (“candidato a sindaco di Roma? No, grazie”) ma è in fondo naturale che l’abbia fatto: certo, anche se fosse interessato all’idea, non lo avrebbe ammesso così candidamente di fronte alle telecamere del Tg3 per di più senza aver ricevuto prima l’endorsement dei vertici del movimento. E poi, diciamocelo chiaramente, anche questi ultimi giorni ci hanno dimostrato che pure le certezze più granitiche possono finire con il vacillare in politica, soprattutto quando si tratta di negare qualcosa.

Ma perché la pista che porta a Conte avrebbe in qualche modo ragione di esistere? Innanzitutto perché consentirebbe al diretto interessato di capitalizzare immediatamente, tra pochi mesi, il consenso di cui ancora gode nel Paese, e ovviamente anche a Roma. Un sostegno che invece rischierebbe di esaurirsi giorno dopo giorno, ma poi neppure così lentamente, nel caso in cui il premier dimissionario rimanesse senza incarico fino alle prossime politiche. D’altronde, al governo non ci entrerà – ed era facile immaginarselo – e il ruolo di capo politico del movimento, ammesso che lo voglia, sarebbe un autentico punto interrogativo vista la confusione che regna sovrana tra i cinquestelle in questa fase.

E poi Conte, com’è stato scritto spesso, talvolta forse anche a sproposito, rappresenta pur sempre un interlocutore privilegiato della Chiesa, l’allievo prediletto di Villa Nazareth, il collegio oggi presieduto dal cardinale e segretario di Stato vaticano Pietro Parolin. Circostanza non proprio irrilevante a Roma, a maggior ragione se si considera che il prossimo sindaco dovrà organizzare e poi gestire in prima persona il Giubileo, che proietterà di nuovo l’immagine della capitale d’Italia in tutto il Paese.

E i vertici dei due partiti come prenderebbero questo suo eventuale passo? Per Nicola Zingaretti, che deve confrontarsi con il malcontento interno al partito, sarebbe l’occasione per dimostrare che la sua linea sulla famosa alleanza strutturale tra cinquestelle e Pd è corretta e che a livello nazionale tutto è deragliato solo a causa di Matteo Renzi. Anche perché, diciamolo abbastanza chiaramente, se Conte scendesse davvero in campo, diventerebbe automaticamente il candidato da battere considerato quanto è conosciuto e anche il livello di apprezzamento di cui ancora beneficia. Presentarsi con la riconquista del Campidoglio al congresso, insomma, potrebbe consentire al segretario di ottenere una riconferma al momento nient’affatto scontata.

Sulle reazioni del movimento, invece, è un po’ più difficile fare un ragionamento unitario. Il problema, ovviamente, è rappresentato dalla decisione di Raggi di ricandidarsi. Come convincerla a desistere? Domanda a cui non è semplice trovare una risposta, anche perché con l’arrivo di Draghi è diventata improponibile l’idea che la sindaca possa entrare al governo con un ruolo di sottosegretaria. Di fronte all’eventuale candidatura di Conte non è escluso che lei stessa però possa decidere di farsi da parte a fronte, magari, di una qualche nuova sfida. Di sicuro, tra i pentastellati capitolini di questa ipotesi già si parla: in molti, sono i rumors di queste ore, vorrebbero una candidatura del premier dimissionario anziché della sindaca uscente.

Fantapolitica? Possibile, certo. Ma, come stiamo vedendo in queste ore, non si può mai dire mai.

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