Un morto dopo un bombardamento d’artiglieria contro la base al Asad in Iraq, usata anche dagli statunitensi. Più di un sospetto indica le milizie sciite irachene legate ai Pasdaran, che intendono far esplodere il processo negoziale Washington-Teheran e sfruttano anche la tempistica collegata alla visita di papa Francesco
La base aerea Ayn al Asad è finita sotto una salva di dieci missili iraniani Arash-4 e un contractor civile è morto (un’altra decina di missili è stata intercettata dalle difese aeree Cram, mentre un altro contractor americano ha avuto un attacco di cuore poche ore dopo l’attacco). La base si trova nell’Anbar, la provincia irachena che si collega alla Siria, ed è utilizzata sia dalle forze armate locali che dagli Stati Uniti (un tempo anche dagli inglesi) come avamposto in un’area complessa ancora corrosa dallo Stato islamico.
Poco più a nord, ad Albukamal, appena oltre confine, la scorsa settimana l’amministrazione Biden aveva bombardato alcuni obiettivi ricollegabili alle milizie irachene connesse a doppio filo con i Pasdaran (che gli passano armi e fondi per trarne vantaggio in termini di influenza). Il Pentagono ha annunciato un’indagine per individuare i responsabili, sebbene e i canali Telegram delle milizie sciite in Iraq rivendichino già l’azione.
Situazioni simili a quella di oggi sono avvenute per tre volte negli ultimi quindici giorni: uno a Erbil, nel Kurdistan iracheno, in una base della Coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico; uno alla base Balad, fuori Baghdad; un altro contro la zona protetta attorno all’ambasciata statunitense nella capitale. Quello di oggi è il quarto in quindici giorni, due a settimana, e il secondo dopo quello di Erbil a produrre vittime – una red line che potrebbe portarsi dietro un nuovo bombardamento americano se sarà confermata la responsabilità delle milizie, usato anche come forma di rassicurazione agli alleati regionali.
La cadenza è ricollegabile al momento. I Pasdaran intendono minare con queste azioni a media intensità il processo negoziale attorno al dossier nucleare iraniano, riattivato dalla nuova Casa Bianca. Obiettivo pensato a scopo interno, in vista delle elezioni presidenziali di giugno. L’intento è infatti quello di far naufragare le intenzioni dell’attuale governo pragmatico-riformista ravvivando un fronte ultra-conservatore parzialmente isolato (visto che su quel lato ci sono comunque visioni che considerano un contatto con l’Occidente necessità pragmatica per lo sviluppo del Paese).
Questo genere di azioni è anche un modo di esercitare pressione sul dossier nucleare, dunque in parte accettato a Teheran (che ha spazi di plausible deniability) e ora è giocato in un contesto temporale preciso, ossia sfruttando i giorni precedenti all’arrivo del Papa in Iraq — un viaggio che vede proprio nelle azioni di queste milizie, più o meno spinte dall’Iran, il principale problema di sicurezza.
La base al Asad è quella in cui gli iraniani riversarono la loro rappresaglia a gennaio dello scorso anno, per vendicare l’uccisione in un raid americano del generale Qassem Soleimani, mente dietro alla creazione e gestione delle milizie sciite regionali collegate ai Pasdaran. Su quell’attacco sono emerse nuove informazioni raccontate su queste colonne da Stefano Pioppi.