Le terapie avanzate guariscono patologie altrimenti incurabili. Con costi meno alti di quanto non si immagini: “In Italia i farmaci costano allo Stato 18 miliardi di euro all’anno. Le terapie avanzate nel 2025 costeranno circa 600 milioni”. Conversazione di Formiche con Pasquale Frega, presidente e ad di Novartis Italia
Mai come in questo momento, in cui la pandemia continua a minacciare la salute dei cittadini di tutto il mondo, è emerso quanto la tecnologia e l’innovazione siano alleati fondamentali nella cura delle persone. Non solo nella lotta contro il Covid, ma ancor più nella gestione di tante patologie preesistenti e nella individuazione di terapie sempre nuove e in grado di aumentare la speranza di vita di moltissimi pazienti, migliorandone la qualità. Di terapie innovative e degli ottimi risultati che l’Italia ha raggiunto in questo campo abbiamo parlato con Pasquale Frega, presidente e amministratore delegato di Novartis Italia alla guida del Gruppo europeo e nipponico di Farmindustria.
Negli ultimi mesi, anche a seguito della pandemia, si è parlato moltissimo del ruolo dell’innovazione in campo sanitario. Che effetti può avere, dunque, da un punto di vista di sistema?
L’innovazione gioca un ruolo fondamentale su tre direttrici. In primis può migliorare l’interscambio operativo fra ospedale e territorio.
Durante la pandemia abbiamo avuto modo di capire quanto un sistema ospedale-centrico rischia di crollare se messo troppo sotto pressione. Già prima della pandemia era stata avviata una riflessione su come spostare la gestione di alcune malattie, soprattutto croniche, sul territorio. Eppure in alcuni casi, nonostante la tecnologia fosse già disponibile, non è stato fatto. Oggi abbiamo capito che possiamo e dobbiamo farlo, sia per quanto riguarda l’attività di diagnosi che per quanto riguarda la cura e la terapia. Ne ha parlato persino Draghi in occasione del suo discorso di insediamento.
In secondo luogo l’innovazione può efficientare la cosiddetta connected care. Il 2020 è stato definito, in materia di sanità connessa, un anno che ne è valso dieci. È stato fatto un vero e proprio salto quantico nella percezione delle potenzialità della connected care, a partire dalle televisite e a finire con la gestione e la condivisione dei dati. Ovviamente c’è ancora molto da fare, guardando ad altri casi virtuosi, ma sicuramente siamo nella direzione giusta.
Un esempio di caso virtuoso è per esempio quello dell’Estonia. In caso di incidente stradale l’autoambulanza che arriva ha già a disposizione tutti i dati sanitari dei soggetti coinvolti, se hanno patologie pregresse, se e quali farmaci assumono e se e quali interventi chirurgici hanno subito. Una realtà che finisce per fare a pugni con la nostra, dove la condivisione di dati spesso non avviene nemmeno fra reparti di uno stesso ospedale e un ricoverato che passa da un’area all’altra magari si ritrova a fare lo stesso esame più volte.
Ed infine influisce sul legame, strettissimo, fra ambiente e salute.
Uno studio effettuato in collaborazione con Enel X ha dimostrato quanto l’inquinamento impatti su malattie respiratorie e cardiovascolari. Un utilizzo intelligente degli strumenti disponibili consentirebbe un immediato e prolungato abbattimento delle emissioni, con ripercussioni importanti anche sulla salute.
In merito all’innovazione portata al sistema delle terapie avanzate, quale funzione hanno nei sistemi di cura?
Con il termine di terapie avanzate, tecnicamente chiamate ATMP (Advanced Therapy Medicinal Product), si indicano quelle terapie o farmaci innovativi che si differenziano dai farmaci più “classici” perché non si basano su molecole prodotte per sintesi chimica bensì su DNA o RNA, cellule e tessuti. Si tratta di un settore emergente della biomedicina, frutto degli enormi progressi fatti negli ultimi venti anni nel campo delle biotecnologie, e offrono nuove opportunità per la diagnosi, la prevenzione o il trattamento di gravi patologie che hanno opzioni terapeutiche limitate o assenti, come ad esempio malattie genetiche, malattie croniche e tumori.
E perché sono così innovative?
Per chiarirne la portata innovativa bisogna considerare fondamentalmente due tematiche: innanzitutto, per la prima volta, si passa da un approccio terapeutico a un approccio curativo. Agiscono infatti sulla causa della patologia e non sulla gestione dei sintomi: mirano cioè a cambiarne in modo sostanziale l’evoluzione e non a controllarne i sintomi. Il secondo aspetto, altrettanto straordinario e rivoluzionario, è che le terapie avanzate sono one-shot o, laddove debbano essere ripetute 2-3 volte, il trattamento rimane comunque molto limitato nel tempo mentre i suoi effetti si prolungano nel lungo periodo. Rispetto alla maggior parte dei farmaci, infatti, riescono a intervenire su patologie altrimenti incurabili o a migliorare la qualità di vita di soggetti cronici che altrimenti sarebbero costretti a una vita faticosissima. Sia che si tratti oncologia, sia che si tratti di malattie neurodegenerative, offrono un orizzonte sino ad oggi inimmaginabile per un paziente.
L’Italia è un Paese virtuoso per quanto riguarda l’accesso alle terapie avanzate. Quali traguardi abbiamo raggiunto negli ultimi anni?
Il nostro Paese rappresenta un’eccellenza in questo settore. La prima storica terapia avanzata in Italia fu sperimentata dal San Raffaele. Curava i cosiddetti bambini bolla, che a causa del sistema immunitario deficitario erano costretti a vivere all’interno di un ambiente sterilizzato e privo di qualunque fonte virale o batterica. Ecco, oggi di terapie avanzate ce ne sono ben quindici, di cui vengono tre sono state sviluppate in Italia e vengono somministrate nell’intero globo. Delle dieci approvate dall’Ema, ben sei sono disponibili in Italia e una parte di queste sono arrivate nel nostro Paese prima che in altri.
L’ultima terapia avanzata approvata è Zolgensma. Anche in questo caso abbiamo ridotto i tempi di accesso in Italia rispetto ad altri paesi europei?
Certo. Zolgensma è stato appena approvato dall’Aifa [circa un mese fa, ndr]. Questa terapia cura l’atrofia muscolare spinale di tipo 1, una malattia che si considera mortale nel 90% dei casi entro i primi 24 mesi di vita. Grazie a questa terapia non solo i bambini sopravvivono, ma in alcuni casi si riesce persino a normalizzare la loro aspettativa di vita.
Ci saranno, però, dei costi altissimi…
In Italia i farmaci costano allo Stato circa 18 miliardi di euro all’anno. Le terapie avanzate, secondo una proiezione, nel 2025 costeranno circa 600 milioni. Una fetta importante certamente, ma non si può parlare di un costo molto più alto di altri. E poi per valutare il costo di un farmaco non basta vedere il suo prezzo. Bisogna guardare al beneficio economico, anche indiretto, che comporta nel lungo termine. Perché nessun pagatore, men che meno in Italia, acquista un farmaco o una terapia il cui costo non è correlato ai benefici che genera, sia da un punto di vista clinico che economico. Nel caso della terapia genica per l’atrofia muscolare spinale, poi, è difficile che una singola somministrazione possa costare più di una terapia permanente.
Quanto è importante, secondo lei, per un sistema sanitario più efficace ed efficiente, la collaborazione fra pubblico e privato? Crede possa fare la differenza?
Non solo può fare la differenza. Fa tutta la differenza del mondo. Le faccio un esempio. Il farmaco Luxturna è in grado di ripristinare la visione e migliorare la vista a pazienti che non hanno mai potuto, ad esempio, vedere il volto del proprio padre o della propria madre. Per somministrarlo, però, c’è bisogno sia di un centro ospedaliero che della tecnologia Novartis. Senza collaborazione fra noi e il pubblico, questo farmaco non avrebbe mai avuto modo di ridare la vista alle persone.
Purtroppo spesso in Italia si tende a diffidare delle aziende, soprattutto in campo farmaceutico. E dunque a perdere tante occasioni di possibili sinergie che potenzialmente potrebbero invece cambiare la vita di tante persone. Anche qui la capacità di dialogare fa la differenza. Noi l’abbiamo vissuto con Zolgensma, dove disponibilità e collaborazione con le agenzie regolatorie sono state fondamentali.
Perché c’è questa mancanza di fiducia, però? Dove stiamo sbagliando?
Un recente sondaggio condotto da SWG sulla percezione degli italiani in merito alla scienza ha dimostrato che i giovani si fidano della scienza ufficiale ancora meno delle generazioni più anziane. Non so con certezza dove stiamo sbagliando, ma so con certezza che lo stiamo facendo. Intanto abbiamo stipulato un accordo con il Ministero della cultura e con il Miur per creare un museo di medicina online. Ma c’è ancora moltissimo da fare. E noi saremo in prima linea.