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Agli antipodi dello scontro geopolitico. Australia e Cina mai così lontane

Pechino accusa Canberra di prendere decisioni anti-cinesi solo per compiacere Washington. Ma la realtà è che il governo australiano si muove secondo le volontà dei propri cittadini, che stanno maturando una visione sempre più negativa della Cina

Il meccanismo di dialogo strategico sino-australiano è stato sospeso per decisione unilaterale di Canberra. È l’ultimo passaggio dello scontro tra Australia e Cina, che dura da mesi ed è già passato da un’aspra guerra commerciale (che ha coinvolto anche imbarcazioni italiane); dallo stralcio degli accordi di adesione alla Belt & Road Initiative da parte dello stato di Victoria; dall’avvio di un’operazione di screening per la rescissione di un accordo con cui viene concesso a un’azienda cinese il porto di Darwin.

Quest’ultimo è un asset strategico per Canberra, che per invertire una decisione precedente (ben prima dei 99 anni della scadenza) è pronta alla coercizione: la Difesa potrebbe inserire il porto nelle infrastrutture di interesse nazionale e forzare la mano. D’altronde il dipartimento è guidato da Peter Dutton, che ha recentemente dichiarato che l’Australia è di fatto già “sotto attacco” da parte della Cina. Si riferiva al cyberwarfare, teatro di confronto in cui i cinesi portano avanti operazioni continue contro gli australiani.

Di più: Dutton ha aggiunto che a suo modo di vedere una guerra con cui Pechino riannetterà Taiwan, invadendo l’isola, non è solo inevitabile, ma imminente. Contrattacco da Pechino: il Global Times (organo governativo che diffonde la linea del Partito/Stato in inglese) scrive che Dutton è ansioso di mostrarsi fedele agli Stati Uniti e l’Australia cerca costantemente di prendere parte alle questioni che riguardano Taiwan anche se non le competono.

Ma l’Australia può davvero essere “un buon vicino nella regione?”, si chiede il giornale cinese: “Ovviamente no” è la risposta. “Canberra non si preoccupa nemmeno molto degli interessi del suo stato locale e li colloca addirittura al di sotto degli scopi geopolitici”, scrive il GT e argomenta sostenendo che l’esclusione di Victoria dalla Bri è sconveniente per gli australiani tanto quanto l’eliminazione del contratto a Darwin. Ancora: “Se Canberra non si preoccupa nemmeno degli interessi locali, come può tener conto degli interessi regionali generali o essere un buon vicino nella regione?”.

Il Global Times usa certi espedienti per cercare alterare il dibattito interno australiano, dove il ruolo della Cina è stato visto finora come una via perché-no-? per raccogliere investimenti. Dissociare il piano economico dagli interessi geopolitici è parte delle narrazioni cinesi, rischio non-calcolato in cui molti paesi sono scivolati. Pechino mescola il tutto a favore del nazionalismo australiano. Ma qualcosa sta cambiando.

Sempre dalla Difesa australiana, stavolta per bocca dell’ex capo delle forze speciali, è arrivata  un’altra stoccata contro la Cina: le unità cinesi si muovono “in aree grigie” (come il cyberwarfare, per esempio, ma non solo). Il generale ha aggiunto poi che uno scontro tra i due paesi lo inserirebbe sotto la categoria “alta probabilità”. Per ora siamo solo allo scontro finanziario-economico-commerciale, ma certo la tensione è alta.

Non semplifica la situazione che l’Australia stia prendendo parte a tutte le iniziative di contenimento cinese lanciate da Washington, a cominciare dall’implementazione del Quad come una piattaforma geopolitica. C’è di più, però: Canberra non prende posizioni sulla Cina solo in funzione degli Stati Uniti – come vorrebbe far intendere il Global Times – ma lo fa anche perché i suoi cittadini iniziano a vedere la Cina molto negativamente.

L’effetto (raccontato anche in serie televisive come “Secret City” e “Pine Gap”) dell’ascesa cinese nella regione, con l’Australia traguardo di una direttrice di proiezioni, non è buono: lo slancio di Pechino ha prodotto preoccupazioni, ha portato le collettività dei paesi della regione a esserne preoccupate.

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