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L’Italia e la sirena del benecomunismo sui vaccini. L’argine di Giorgetti

Draghi propone di seguire la proposta di Biden e di sospendere i brevetti sui vaccini “temporaneamente”. Ecco tutti i motivi per cui questa scelta non aumenterebbe il numero di dosi disponibili, indebolendo la ricerca scientifica e le prossime battaglie contro i virus

Raccontano le cronache da Oporto che il presidente del Consiglio Draghi, alla cena ufficiale del vertice europeo, avrebbe detto ai commensali che “siamo di fronte a un evento unico: milioni di persone che non sono in condizione di acquistare i vaccini stanno morendo. Le case farmaceutiche hanno ricevuto finanziamenti enormi dai governi, e a questo punto ci sarebbe quasi da aspettarsi che ne restituissero almeno una parte a chi ha bisogno. Persone che conoscono bene la materia mi dicono che una misura temporanea e ben congegnata non rappresenterebbe un disincentivo per l’ industria farmaceutica”.

È davvero così? Analizziamo punto per punto quello che sta succedendo.

La sospensione dei brevetti aumenterebbe la disponibilità di dosi nei paesi a basso reddito?

L’amministrazione Biden ha accolto la proposta di una risoluzione del WTO che punta a sospendere i brevetti sui vaccini contro il Covid-19, sostenuta da India, Sudafrica e quasi 100 paesi in via di sviluppo. Ma questa esenzione, come scrivono Fontanelli e Bonadio, non basta: solo perché Pfizer e Moderna (e le altre aziende) non potrebbero più vietare a terzi di produrre i loro vaccini, non significa che esista qualcuno in grado di farlo. Per la produzione di un vaccino generico, perciò, occorrerebbe che le case condividano alcuni aspetti della formulazione del vaccino e del metodo di produzione, i quali non sono contenuti nella descrizione fornita nel brevetto. Inoltre, anche in questo scenario ipotetico, difficilmente un’azienda terza potrà essere pronta alla produzione nel breve termine.

Le case farmaceutiche hanno ricevuto sussidi pubblici per sviluppare vaccini. Perché non possono “restituire il favore” rinunciando ai brevetti ora che stanno macinando profitti?

Molte delle aziende che hanno sviluppato vaccini hanno ricevuto sovvenzioni dagli Stati. L’operazione Warp speed voluta da Trump ha stanziato 18 miliardi $ per finanziare lo sviluppo di farmaci, e vi hanno aderito J&J, Astrazeneca, Moderna, Novavax, Merck e Iavi, Sanofi-GlaxoSmithKline. Il Regno Unito e la Germania hanno messo a disposizione fondi e agevolazioni per Astrazeneca e BioNTech, rispettivamente. Pfizer ha prodotto le sue dosi anche grazie al pre-acquisto di dosi per 2 miliardi $ garantito dal governo americano.

Però non è tutto oro quello che luccica. Moderna ha lavorato sulla ricerca dell’Rna messaggero (mRna) per dieci anni prima di sviluppare uno dei vaccini più avanzati al mondo, e ha appena registrato il suo primo utile di bilancio (in assoluto!). Novavax sono 30 anni che investe nella ricerca. La tedesca BioNTech, creata da due figli di immigrati, era poco più di una start-up, non certo un gigante di Big Pharma che ha approfittato di una rendita di posizione. È giusto che ora azionisti e investitori che hanno creduto in queste piccole realtà siano remunerati con dividendi e plusvalenze, anche perché ciò stimolerà altri investitori a puntare sul mercato farmaceutico, magari sulle compagnie biotech minori che stanno studiando come immunizzare le persone attraverso spray nasali, pillole e cerotti.

Le case farmaceutiche – a parte qualche errore negli studi clinici e qualche inciampo nella produzione – si sono comportate in modo esemplare nel fornire al mondo centinaia di milioni di dosi in poco più di un anno dalla scoperta del nuovo coronavirus. Non si tratta di garantire al mondo un farmaco rarissimo che costa decine di migliaia di dollari su cui qualcuno punta a speculare grazie al brevetto, come accade per certe malattie rare. Il vaccino AstraZeneca costa meno di 3 dollari e a breve potrà essere prodotto in miliardi di dosi l’anno. Il collo di bottiglia, come spiegato dall’avvocato Cerulli Irelli, non è nel brevetto ma nella capacità produttiva, che non aumenta per decreto o per volere del WTO.

L’importante è produrre più vaccini possibile nel minor tempo possibile

Vero, ma dietro a Moderna e Pfizer/BioNTech, i due farmaci a mRna più avanzati, ci sono anni di ricerca e formazione ad altissimo livello, tanto che Stephane Boncel, ad di Moderna, ha detto di non aver “perso il sonno” dopo l’annuncio di Biden, perché non c’è nessuno là fuori che possa replicare il suo farmaco in breve tempo. Gli azionisti di Moderna un po’ di sonno l’hanno perso nel frattempo visto che il titolo ha sofferto parecchio in borsa.

La realtà è che ci sono già dozzine di accordi tra aziende produttrici di vaccini e case farmaceutiche di mezzo mondo per attivare una produzione decentralizzata, ma con la supervisione e il supporto tecnico di chi detiene i brevetti. Sappiamo com’è finita in passato con il trasferimento (legale o illegale) della proprietà intellettuale verso l’Asia: intere filiere distrutte dalla concorrenza a basso costo e da pratiche commerciali scorrette.

Proprio ora che stiamo cercando di riportare in Europa alcuni degli “anelli” della catena del valore farmaceutico che avevamo perso negli ultimi anni, la caduta dei brevetti sarebbe un ennesimo colpo per la nostra economia e autosufficienza. Non abbiamo imparato nulla dai componenti per auto, telefonia, pannelli solari, computer, batterie? Pensiamo davvero che se domani i brevetti fossero disponibili al di fuori di negoziati bilaterali e senza adeguata remunerazione, l’Italia potrebbe competere con Cina o India nella produzione?

La sospensione non potrebbe essere temporanea?

Gli effetti distorsivi non sarebbero così diversi. Una volta che i brevetti, magari per 3 anni, sono stati nelle mani di migliaia di aziende sparse per il globo, come si fa ad assicurarsi che queste smettano di usare le tecnologie? O che inizino a circolare sul mercato delle versioni contraffatte per il mercato nero? In ogni caso, se qualcuno patisce una reazione avversa per la cattiva produzione di un farmaco di Pfizer o AstraZeneca, senza che queste abbiano supervisionato il processo, di chi è la responsabilità? Della casa principale o di chi usa liberamente il suo know-how?

Nel nostro Paese, al di là della corsa ad apparire più “buoni”, al Ministero dello Sviluppo economico sembrano tenere la barra dritta in stile Merkel (e Macron). Oggi Giovanni Tria, delegato da Giorgetti a seguire la filiera dei vaccini, ha scritto sul Sole 24 Ore:

“L’argomento classico che vede la garanzia della proprietà intellettuale come condizione per il rischio privato di investimento nella ricerca e sviluppo non può essere facilmente superato in nome dell’emergenza perché non ci troviamo di fronte a una situazione “statica”. Vi sono molti altri vaccini in via di sperimentazione e anche le imprese farmaceutiche detentrici dei vaccini approvati stanno lavorando a versioni in grado di colpire nuove varianti del virus e di essere distribuite e somministrate più facilmente. Allo stesso tempo vi è una intensa ricerca e sperimentazione su nuovi processi produttivi e nuove terapie. È la rapidità di questi processi di innovazione che genera la gran parte delle strozzature produttive non risolvibili con l’ abolizione dei brevetti.”

Un discorso simile ha fatto il virologo Roberto Burioni: “Se a ottobre salterà fuori una nuova variante (Dio non voglia)  e servirà un nuovo vaccino chi lo svilupperà con i brevetti sospesi? Cuba?”

Come si risolve la carenza di dosi per chi ne ha più bisogno?

Lo dimostra l’Italia, che ha una mortalità altissima nonostante la sua economia avanzata e i 200 miliardi investiti dal governo per affrontare l’emergenza: non è mai stata una questione di soldi o di brevetti, ma di negoziati iniziali, di capacità di contenere il virus e organizzare una buona campagna vaccinale. L’India è nella situazione attuale per le scelte sbagliate del governo, visto che in un primo momento era sfuggita alle conseguenze più nefaste della pandemia, e per un sistema sanitario insufficiente indipendentemente dal virus e dai brevetti.

Il grafico qui sotto, pubblicato dal Financial Times, mostra come gli Stati Uniti di Biden, che ora chiede di rinunciare ai brevetti, abbiano esportato solo 3 milioni di dosi a fronte di 268 milioni prodotti. L’Unione Europea e la Cina, al confronto, hanno “rinunciato” a molte più dosi, anche nell’ambito di piani di solidarietà come Covax. Questa è la strada: gli Stati più ricchi devono continuare a investire nella produzione di vaccini, così da poter comprare dosi dal settore privato con l’obiettivo di donarle o venderle a prezzo calmierato a chi non se le può permettere. Nel frattempo, arriveranno molti altri vaccini che sono in fase di sperimentazione, a diversi livelli di prezzo, che garantiranno una produzione sufficiente a coprire la popolazione globale nell’arco di pochi mesi.

Ribadiamo un punto già affrontato: con lo sviluppo e la produzione dei vaccini anti-Covid abbiamo assistito a un successo storico. Sospendere i brevetti è stata definita da Sabino Cassese “un provvedimento da economia di guerra, un po’ sovietico, quasi un’espropriazione”. Che ha senso quando lo Stato è costretto a intervenire in una situazione di inefficienza o ingiustizia. Ma la conclusione di questo dibattito si può riassumere con un detto: “Se non è rotto, non aggiustarlo”.


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