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5G, Draghi stoppa (di nuovo) la Cina. Il Dpcm su Vodafone

Il presidente Draghi ha utilizzato i poteri speciali sul 5G per la terza volta in poco più di tre mesi. Il nuovo Dpcm riguarda la presenza cinese nella rete di Vodafone, società che ha recentemente annunciato un patto con la statunitense Qualcomm sull’Open Ran

Continua il lavoro del governo di Mario Draghi per mettere in sicurezza la rete 5G italiana. Già a marzo, a pochi giorni dal suo insediamento, il nuovo esecutivo aveva esercitato la normativa Golden power in due occasioni. Entrambe riguardavano le società cinesi accusate dagli 007 statunitensi di spionaggio per conto del governo cinese e contro cui a fine 2019 si era schierato il Copasir, chiedendone l’esclusione dall’infrastruttura italiana. La prima era in merito a un’intesa tra Fastweb e Zte. La seconda su un accordo di Linkem con Huawei e Zte.

Nei giorni scorsi, la terza mossa. Nel corso del consiglio dei ministri del 20 maggio 2021, il ventesimo dell’era Draghi, è arrivato il via libera al decreto del presidente del Consiglio con l’“esercizio dei poteri speciali, con prescrizione, per la società Vodafone Italia Spa concernente la fornitura di beni e servizi necessari per la costruzione e l’aggiornamento delle reti di accesso radiomobile 5G della società Vodafone Italia S.p.a”.

La nota consegnata alle commissioni è asciutta ma ricorda quella contenuta nel Dpcm firmato dall’allora presidente Giuseppe Conte durante il primo consiglio dei ministri del governo giallorosso. Era il 5 settembre 2019 e il decreto riguardava “l’esercizio di poteri speciali mediante l’imposizione di specifiche prescrizioni nei confronti della società Vodafone Italia Spa in relazione ad accordi aventi ad oggetto l’acquisto di beni e servizi per la realizzazione e la gestione di reti di comunicazione elettronica basate sulla tecnologia 5G”. Coinvolti in quell’esercizio della Golden power, su proposta dell’allora ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, ci furono anche Tim, Wind Tre, Fastweb e Linkem.

La scelta del governo Conte II fu duramente criticata da Pietro Guindani, allora presidente di Asstel e da luglio 2008 presidente del cda di Vodafone Italia. Come avevamo raccontato su Formiche.net, Guindani definì l’esercizio dei poteri speciali “una forzatura”.

Ma l’intento, ieri come oggi, è rendere il 5G italiano meno dipendente dai cosiddetti “fornitori non affidabili”, ossia Huawei e Zte, attraverso due strumenti: l’esercizio della normativa Golden power e il Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica che, messo a punto dal Dis sotto la regia del vicedirettore Roberto Baldoni, il 23 giugno inizierà il suo semestre di test.

Vodafone, in particolare, utilizza Huawei nel Ran (come emerge chiaramente nella nota che accompagna il recente Dpcm) ma non nel Core: è quanto emerge dal rapporto “I costi nascosti dei fornitori non affidabili nelle reti 5G“ finanziato da un bando del dipartimento di Stato statunitense e realizzato dal Cefriel, centro di ricerca del Politecnico di Milano. Secondo le stime dello stesso documento, Huawei è presente nel 60% dell’infrastruttura 5G Vodafone.

Proprio l’operatore che fu guidato per un decennio, dal 2008 al 2018, da Vittorio Colao, scelto dal presidente Draghi come ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, ha annunciato un mese fa di aver unito le forze con la statunitense Qualcomm Technologies per lo sviluppo della tecnologia Open Ran. Si tratta di un progetto pensato per promuovere la diversificazione dei fornitori di apparecchiature di rete, che ha incassato il sostegno degli Stati Uniti. A inizio anno, un alto funzionario del dipartimento di Stato americano aveva spiegato a Formiche.net che il sistema “offre la promessa di un futuro con una varietà di software e hardware e la possibilità per gli operatori di disaggregare i loro network fra diversi fornitori usando interfacce aperte”. Si tratta di una diversificazione del rischio su cui gli Stati Uniti vogliono “lavorare con gli alleati, Italia inclusa”, aveva dichiarato ancora in un colloquio avvenuto pochi giorni dall’insediamento del presidente Joe Biden.

Di lì a poco sarebbe cambiato anche l’inquilino di Palazzo Chigi. E quello nuovo, Mario Draghi, si presentò a febbraio al Senato spiegando che il suo governo sarebbe stato “convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia: Unione europea, Alleanza Atlantica, Nazioni Unite”.

Una linea – ribadita anche dal ministro Colao a metà marzo in occasione della sua prima audizione davanti alle commissioni del Senato – che sul 5G è già stata affermata con forza per tre volte in tre mesi e mezzo.

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