Il presidente iraniano dice che tutto quello che si sta facendo a Vienna, dove si negozia il futuro del Jcpoa (e dell’Iran), è fatto secondo “gli ordini” della Guida Suprema. Passaggio importante per l’accordo nucleare e per le elezioni a Teheran
Il direttore politico dell’agenzia Esteri dell’Unione europea (Eeas), Enrique Mora, dice alla Reuters di essere “abbastanza sicuro” che un accordo sul Jcpoa si troverà. Se un diplomatico esperto si sbilancia in questo modo, pubblicamente, allora c’è davvero da presupporre che l’ottimismo sia basato su fatti: a Vienna, dove si discute il modo per ricomporre l’accordo per il congelamento del programma nucleare iraniano, qualcosa si sta muovendo a quanto pare. Conferme tramite l’inviato russo al tavolo austriaco, Mikhail Ulyanov, che dice che gli incontri della prossima settimana saranno gli ultimi e risolutivi. Tutto a fronte di una dichiarazione ufficiale degli E3 (Regno Unito, Germania e Francia) che sottolineano quante “difficoltà” ci siano ancora. Bilanciamenti.
Quello che dice Mora è importante, perché è lui che si occupa di coordinare lo scambio di messaggi tra Iran e Stati Uniti, che formalmente non si parlano (perché Teheran per ora non ha voluto) ma procedono per contatti indiretti – e la staffetta diplomatica è curata da funzionari europei del team dello spagnolo. Pare che una bozza sia già in discussione, e dovrebbe riguardare sia un’accettazione da parte dell’Iran di rientrare dalle violazioni, sia il reintegro americano nell’accordo (dopo l’uscita trumpiana del 2018 che aveva prodotto le violazioni iraniane per risposta).
Se così sarà, allora l’attuale amministrazione Rouhani raggiungerà un successo non indifferente da poter giocare nel rush finale per le presidenziali del 18 giugno. Una ricomposizione dell’intesa significherebbe l’eliminazioni delle sanzioni (re-imposte in forma unilaterale dagli Usa, ma con effetto multivettoriale e in grado paralizzare l’accordo e dunque la già non rosea economia iraniana). L’effetto di questo sul voto non è scontato: i pragmatici-moderati che da otto anni guidano il Paese sono da molto tempo sotto attacco sia da parte dei conservatori sia dell’ala ultra-oltranzista rappresentata dai Pasdaran.
Ieri, mentre si chiudevano gli incontri della riunione internazionale, il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha affermato in pubblico che il suo lavoro è stato quello di aver implementato “passo dopo passo” gli “ordini” della Guida Suprema Ali Khamenei sul Jcpoa e che Khamenei sta effettivamente “guidando” i colloqui di Vienna. Dice di aver trasmesso “ordini” dettati dalla Guida alla delegazione nella capitale austriaca in queste settimane, e contemporaneamente dà slancio politico alla sua parte.
Khamenei in effetti ha sempre sostenuto l’idea di negoziare sul programma nucleare per ottenere in cambio la riapertura della sfera economico-commerciale; aspetto che avrebbe portato l’Iran fuori dalla lista degli stati paria, sebbene contemporaneamente abbia anche dato appoggio alle operazioni espansionistiche ideate dai Pasdaran (la costruzione di influenza attraverso partiti-milizia che si sono diffusi in vari paesi mediorientali).
La mossa di Rouhani cerca di fornire uno spaccato agli elettori iraniani: a Teheran, dove regna un sistema complesso e articolato, non sono in effetti solo i cosiddetti moderati a sostenere la necessità di riportare l’Iran al rispetto dell’accordo, ossia al dialogo con gli Usa, per uscire dal quasi totale isolamento in cui si è infilato. Il lavoro è complesso: recentemente uno dei simboli del Jcpoa e della linea politica di Rouhani, il ministro degli Esteri Javad Zarif, recentemente passato da Roma per parlare con Farnesina a Vaticano del futuro del suo Paese, è stato costretto a rinunciare alla candidatura presidenziale dopo essere finito in uno scontro pubblico con i Pasdaran.
(Foto: Twitter, @enriquemora_)