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Merkel, Xi e Macron. Se una telefonata (non) allunga la vita

Che cosa rimane del recente colloquio tra Merkel, Macron e Xi, con la prima in uscita e il secondo indebolito? Per Benner (Gppi) “l’Italia è uno dei Paesi da coinvolgere” nel dialogo europeo con la Cina ma senza dimenticare Francia e Germania. Roma ha “un ruolo speciale da giocare” con Washington, anche grazie a Draghi, spiega Fontaine (Cnas)

Lunedì pomeriggio, tra il ricevimento mattutino e la cena con il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella all’Eliseo, Emmanuel Macron ha partecipato, assieme ad Angela Merkel, a una videoconferenza con Xi Jinping. Quella tra il presidente francese, la cancelliera tedesca e il leader cinese è sembrata una riproposizione dell’incontro di fine dicembre – tenuto anche quello in videoconferenza –, in cui fu annunciato il raggiungimento dell’Accordo sugli investimenti tra Unione europea e Cina.

Sono passati più di sei mesi. La Commissione europea ha congelato il processo di ratifica dopo le proteste del Parlamento europeo su alcuni aspetti controversi (a partire dalle vaghe garanzie offerte da Pechino nel contrasto al lavoro forzato). Il G7 (di cui Francia e Germania fanno parte) ha lanciato, su impulso del presidente statunitense Joe Biden, una sorta di alternativa alla Via della Seta con il piano “Build back better world”. Anche l’Unione europea, come rivelato da Politico Europe, sta lavorando a un progetto infrastrutturale, dedicato in particolare ad Africa e America Latina, in grado di tenere testa a quello cinese. In questo quadro, i due vertici di dicembre e luglio con Macron, Merkel e Xi presentano una differenza sostanziale: a quello di lunedì non hanno preso parte né Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, né Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea.

Senza dimenticare che i colloqui di dicembre avevano alimentato il risentimento italiano. L’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte era rimasto “estremamente irato per lo smacco” franco-tedesco. Il sottosegretario Ivan Scalfarotto (allora agli Esteri, oggi agli Interni) parlava di “sconfitta” sottolineando il fatto che l’adesione alla Via della Seta nel marzo 2019 non si sia tradotto per l’Italia, primo e unico Paese G7 a firmare il memorandum d’intesa, in un canale di dialogo privilegiato con la Cina.

Da qui, due quesiti. Il primo: lo spirito e lo slancio del G7 sono già tramontati? Il secondo: la politica estera italiana passa da Quirinale e Palazzo Chigi che, come ha sostenuto il politologo Angelo Panebianco in una recente intervista con Formiche.net, “hanno messo la firma sull’europeismo di questo esecutivo” guidato da Mario Draghi; quale ruolo ha e può giocare l’Italia?

Secondo Richard Fontaine, consigliere delegato del think tank statunitense Center for a New American Security, “l’entusiasmo del G7 non si è certamente esaurito, ma è importante notare che, quando si tratta della Cina, il vertice è stato in gran parte una questione di toni e dichiarazioni”.

Per Thorsten Benner, cofondatore e direttore del centro studi tedesco Global Public Policy Institute, “non c’è stato molto entusiasmo al G7 per una posizione comune sulla Cina – almeno non con Merkel”. “È ragionevole supporre”, prosegue l’esperto, che sia stata proprio la cancelliera “la forza trainante” del vertice con Macron e Xi. “Aveva sperato in un’ultima visita in Cina prima della fine del suo mandato a settembre insieme al presidente francese, ma Xi ha detto no a queste richieste: la videoconferenza era la cosa migliore che Merkel potesse ottenere”, aggiunge.

Benner osserva poi una differenza cruciale tra Macron e Merkel all’incontro con Xi. Per il presidente francese “sembra essere stato molto importante sottolineare la posizione indipendente della Francia e dell’Europa mentre criticava fermamente Pechino sui diritti umani e sottolineava le richieste di accesso al mercato”. La cancelliera tedesca, invece, “ha sottolineato che ci sono possibili opportunità di cooperazione con Pechino in Africa e sul cambiamento climatico e la biodiversità, evitando qualsiasi critica pubblica di Pechino nel comunicato” diffuso dopo la videoconferenza.

Lato Stati Uniti, Fontaine sottolinea gli sforzi dell’amministrazione Biden per “lavorare in modo molto più multilaterale rispetto a quella precedente”, guidata da Donald Trump. “Ha cercato di includere le preoccupazioni sulla Cina nel comunicato del G7, dimostrando così che l’ambiente globale non si riduce a una lotta binaria Stati Uniti-Cina. In questo, ha avuto successo”. Certo, prosegue l’esperto, il vertice di Carbis Bay “non ha fatto, e in effetti non poteva, sparire le differenze tra i membri”. Basti vedere l’accordo sugli investimenti sopracitato, la volontà di Pechino di allungare la Via della Seta o anche la posizione tedesca sul Nord Stream 2. “Il G7 è stato un passo importante verso l’armonizzazione degli approcci dei membri, ma solo un passo. E la sinergia non sarà mai definitiva”, commenta Fontaine.

Ma Merkel a settembre lascerà la guida della Germania e la politica dopo 16 anni, mentre Macron rischia di presentarsi “indebolito e preoccupato” alle elezioni presidenziali nella prossima primavera, come aveva spiegato Panebianco.

Per questo, spiega Benner, “gli Stati Uniti fanno bene a guardare oltre Berlino e Parigi quando si tratta di cooperare con l’Europa sulle sfide poste dallo stato-partito. E l’Italia è certamente uno dei Paesi che vale la pena di coinvolgere. Ma lavorare con Roma non può sostituire il trattare con Parigi e Berlino”, evidenzia. Infatti, Francia e Germania “sono gli Stati decisivi per la politica europea sulla Cina” e “senza di loro a bordo, non è possibile alcuna posizione transatlantica comune”.

Benner evidenzia poi un aspetto: “Washington non può essere certa neppure della durata del governo Draghi e del suo corso sulla Cina. Ma certamente Draghi ha l’opportunità di fare sentire la sua voce sulla Cina, che può influenzare il dibattito in Europa, se sceglie di farlo”.

Secondo Fontaine, però, l’Italia ha “un ruolo speciale da giocare. Quest’anno guida il G20, c’è un senso di dinamismo sotto Draghi e la possibilità di cooperazione tra Stati Uniti e Italia su questioni come la Cina, la Russia e la Libia è reale. C’è molto da fare”.



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