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Vaccino, green pass “mite” e Costituzione. Il parere del senatore Grassi

Di Ugo Grassi

Mai come nel caso del vaccino e del green pass appare davvero arduo individuare il punto di equilibrio tra libertà di scelta e tutela della salute pubblica. Riceviamo e pubblichiamo da Ugo Grassi, professore ordinario di Diritto civile all’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” e senatore della Lega, Partito Sardo d’Azione

L’anno scorso il lockdown “duro” ci ha illuso che ci fossimo tutti affratellati. Ora invece i vaccini mostrano un’Italia trasformata in un ring dove i pro-vaccino e i no-vaccino sembrano litigare senza ritegno.

Mi appare però particolarmente grave che anche gli accademici sembrino aver abbandonato il loro tradizionale “aplomb” fatto di deliziose espressioni cortesi e un po’ démodé quando si confrontano, a favore di toni apodittici e sferzanti per contrastare chi la pensa in modo opposto.

Eppure mai come in questo caso appare davvero arduo individuare il punto di equilibrio tra libertà di scelta e tutela della salute pubblica. Proverò a fare chiarezza.

È fuor di dubbio che i vaccini contro il Covid, almeno astrattamente, potrebbero essere resi obbligatori, purché ciò sia disposto per legge. L’art. 32 della Costituzione, che eleva la salute a contenuto di un diritto soggettivo indisponibile e di alto rango, al secondo comma prevede che, con disposizione di legge, possiamo essere obbligati ad un trattamento sanitario; inoltre il primo comma consente di desumere che ciò è possibile se il trattamento è funzionale all’interesse della collettività.

Ciò va chiarito, ovviamente, non a favore di chi ha pure solo rudimenti di diritto costituzionale, ma per tutti quei “laureati all’università della strada” i quali credono che tutto ciò che loro ritengono giusto trovi una qualche legittimazione nella Costituzione.

È invece assai più arduo definire i parametri che rendano costituzionalmente legittimo un eventuale obbligo vaccinale, ancorché imposto con legge.

La Corte Costituzionale si è in più occasioni cimentata col tema: si vedano ad esempio le sentenze n. 258 del 1994 e n. 5 del 2018.

La Corte a più riprese ha affermato che “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria”. Ha poi ulteriormente chiarito che il bilanciamento tra libertà ed obbligo deve fondarsi sull’individuazione con “la maggiore precisione possibile” delle “complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione”, nonché sull’individuazione degli strumenti diagnostici idonei a prevederne la concreta verificabilità, praticabili su un piano di effettiva fattibilità.

In altri termini: la Corte chiede che sui piatti della bilancia siano posti rischi e benefici di cui siano noti i confini con la maggiore precisione possibile. I rischi della malattia provocata dal virus sono noti, possiamo dire altrettanto dei vaccini?

Questi vaccini, allo stato delle attuali conoscenze, sono “abbastanza sicuri” ma è incontrovertibile che questi farmaci poco più di un anno fa non esistevano. Ed infatti l’Aifa ha concesso una autorizzazione condizionata alla comunicazione degli esiti del completamento della fase 3 (sperimentazione a doppio cieco) previsto per dicembre 2023. Specularmente negli Usa i vaccini hanno ricevuto una autorizzazione di emergenza. Questo non vuol dire che siano tout court “sperimentali” anche perché la durata della fase 3 di circa quattro anni è a monte frutto di una convenzione e non di una intrinseca necessità. Nessuno può garantire, ad esempio, che un farmaco sperimentato per dieci anni non mostri effetti collaterali ben oltre tale periodo.

I vaccini usati contro la pandemia sono, tra l’altro, sottoposti anche a studi di fase 4 (cd. farmaco vigilanza), per cui le due fasi finali sono svolte in simultanea.

La verità è che i risultati preliminari ottenuti dalla sperimentazione di fase 3 consentono di offrire tali vaccini a chi ne voglia fare uso per libera scelta, ma, mancando ad oggi dati ulteriori sugli effetti collaterali di medio periodo diviene arduo operare quel bilanciamento tra vantaggi e svantaggi con “la maggiore precisione possibile” per “le complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione”, bilanciamento invece indicato dalla Corte Costituzionale quale presupposto per la legittimità di un obbligo vaccinale ex lege.

Ma cosa significa che un trattamento sanitario è reso obbligatorio? Un obbligo, qualsiasi obbligo, è un “comando” un “precetto”, ma ciò che lo rende tale non è il tono perentorio con cui il comando viene somministrato, bensì la presenza di una conseguenza sgradita e sgradevole per la sua inosservanza. Pensate, per paradosso, a quanto poco sarebbe rispettato il divieto di fumare se ai trasgressori la legge minacciasse di offrire un caffè e un cornetto.

E infatti, rispetto ai noti obblighi vaccinali pre covid la legge prevede, per l’inosservanza, il pagamento di una multa, nonché il divieto per i minori di accedere ai servizi scolastici.

Con questi presupposti è agevole comprendere che il green pass, di cui si parla in questi giorni, e che correttamente se ne vuole regolare l’efficacia con un atto avente forza e valore di legge, lambisce il confine di quanto possa considerarsi un vero e proprio obbligo vaccinale, qualunque sia la terminologia che si voglia utilizzare. Stabilire, infatti, che in assenza di green pass non si possano svolgere alcune attività, normalmente partecipi delle libertà individuali consentite e tutelate dalla Costituzione, vuol dire paventare una “sanzione”, cioè una conseguenza afflittiva per l’inosservanza di un comando. Deve tra l’altro essere chiaro, inoltre, che se obbligo vi è, lì si applica automaticamente anche la legge che prevede un indennizzo per i danni cagionati da trattamenti sanitari obbligatori (Legge 25 febbraio 1992 , n. 210).

Con ciò non intendo affermare che senza dubbio il green pass sia incostituzionale, perché quel bilanciamento più volte richiamato potrebbe (e sottolineo il condizionale) anche essere soddisfatto da blande limitazioni delle manifestazioni delle libertà dell’individuo a fronte di rischi da vaccino non ancora del tutto conosciuti. Di certo non potrebbe dirsi “blanda limitazione” il divieto di accedere al posto di lavoro.

Il diritto al lavoro è un diritto fondamentale previsto dall’art. 4 della Costituzione e, aggiungo, a mio avviso cade in errore chi ritiene che pur senza previsione di legge il green pass possa essere imposto dal datore di lavoro in forza degli articoli del codice civile e della legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro: quelle norme fanno riferimento a misure di sicurezza che devono “presidiare” il lavoratore ma in nessuna parte consentono di imporre misure invasive dell’integrità fisica della persona. Affermare il contrario significa negare principi di base del nostro ordinamento, quali la gerarchia delle fonti e il valore della riserva assoluta di legge imposta dall’art. 32 della Costituzione.

Insomma: se da un lato un vero e proprio obbligo vaccinale rafforzato dalle stesse sanzioni previste per i “vecchi” vaccini obbligatori sarebbe, allo stato, probabilmente incostituzionale, un green pass fonte di un obbligo “mite” potrebbe essere compatibile con la Costituzione. Ma deve essere sottolineato che nessuno possiede la verità e che la valutazione finale dipende da molteplici fattori, tra l’altro in continuo divenire.

Ps. L’Autore di questo articolo è vaccinato.

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