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Amministrative e Quirinale, il semestre bianco della politica secondo Martini

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Intervista a Fabio Martini, giornalista politico e inviato de La Stampa: “Chi vota a scrutinio segreto per il Capo dello Stato vuole fortissimamente che la legislatura non si interrompa e quindi farà di tutto affinché i due presidenti rimangano dove sono”. Le amministrative? “A Milano, Bologna e Napoli il centrosinistra è in vantaggio, mentre a Roma…”

L’elezione del presidente della Repubblica? “Chi vota a scrutinio segreto per il Capo dello Stato vuole fortissimamente che la legislatura non si interrompa e quindi farà di tutto affinché i due presidenti, Sergio Mattarella e Mario Draghi, rimangano dove sono”. Il voto delle amministrative il cui primo turno è in programma il 3 e il 4 ottobre? “A Torino e Roma il risultato è maggiormente in bilico mentre a Milano, Bologna e Napoli il centrosinistra, almeno al momento, è nettamente in vantaggio”. La corsa per il Campidoglio? “In teoria al ballottaggio dovrebbe andare in scena la sfida tra Roberto Gualtieri ed Enrico Michetti, ma ci sono due incognite: la dimensione del voto di protesta a favore di Virginia Raggi nelle periferie e il possibile colpo di reni di Carlo Calenda, che ha già scalato metà della montagna”.

Parola di Fabio Martini – giornalista politico, inviato de La Stampa e autore del recente saggio dal titolo “Nathan e l’invenzione di Roma. Il sindaco che cambiò la Città eterna” edito da Marsilio (ne abbiamo pubblicato qui un estratto) – che in questa conversazione con Formiche.net ha fatto il punto della situazione sui principali temi di attualità politica. A partire dalla campagna elettorale per le elezioni amministrative ormai entrata nel vivo: “Si tratta di un passaggio fondamentale, che condizionerà politicamente ed emotivamente la fase successiva caratterizzata dall’elezione del Presidente della Repubblica, la quale a suo volta inciderà direttamente sulla tenuta oppure no di questo governo”.

Martini, che sequenza immagina in questo senso per le prossime settimane?

Penso che fino al primo turno proseguirà questa rappresentazione: i partiti della maggioranza continueranno a contrapporsi ma, per così dire, senza affondare eccessivamente il colpo. In vista del ballottaggio però, lo scenario inevitabilmente cambierà e salirà la tensione, considerata anche l’emotività del sistema politico e mediatico italiano.

E dopo il secondo turno?

Ci sarà una specie di reset e a quel punto finalmente si potrà ragionare in modo non fantasioso sugli scenari successivi che porteranno all’elezione del Capo dello Stato, che non è detto che sia nuovo.

La rielezione di Mattarella è a suo avviso l’ipotesi principale?

Mettiamola così: chi vota a scrutinio segreto per il Capo dello Stato vuole fortissimamente che la legislatura non si interrompa e quindi farà di tutto affinché i due presidenti, Mattarella e Draghi, rimangano dove sono. Ma questa considerazione non basta per leggere lo scenario politico, bisogna tenere conto anche dei dati emotivi e delle circostanze di fatto che verranno a determinarsi in occasione dell’elezione.

E quindi?

E quindi dobbiamo pur sempre ricordare che Mattarella vuole sinceramente terminare il suo mandato. Una volontà ferma, manifestata a più riprese e in momenti diversi, che però non è detto riesca a esercitare di fronte a circostanze al momento inattese. Così com’era accaduto con Giorgio Napolitano per intenderci. Appunto, occorre fare i conti con le incognite umane e oggettive.

L’eventuale bis di Mattarella sarebbe certamente a tempo?

Non penso proprio. O, meglio, non si potrebbe certo chiedere prima a Mattarella di restare solo per uno o due anni. Voglio dire che, in caso di conferma dell’attuale dello Capo dello Stato, non è affatto scontato che il suo mandato sia a tempo determinato: nel caso potrebbe restare al Quirinale anche per l’intero settennato.

Dell’ipotesi Draghi, invece, cosa ne pensa?

Che è la seconda in ordine di probabilità. A Draghi il lavoro politico di presidente del Consiglio piace. Se potesse, resterebbe a Chigi: sappiamo che questa è la sua prima scelta. Certo, l’alternativa, ossia l’elezione al Quirinale, sarebbe ovviamente importantissima.

Esiste anche una terza ipotesi?

E’ veramente la terza, anche in ordine di probabilità. E’ assolutamente minoritaria, ma non si può negare che esista. Dipenderà dai partiti con i loro piccoli ma legittimi calcoli.

Tornando alle amministrative, lei immagina dunque un surriscaldamento del clima politico dopo il primo turno, è così?

Assolutamente sì, con una novità politica importante da sottolineare: a quel punto l’alleanza tra cinquestelle e Partito democratico andrà incontro a un ulteriore punto di svolta. Nelle due città in cui il risultato è maggiormente in bilico – ossia a Torino e a Roma – il movimento a guida Giuseppe Conte tenderà a sostenere al ballottaggio i due candidati del Pd: Stefano Lo Russo e Roberto Gualtieri. D’altronde, abbiamo la quasi certezza che la sera del 4 ottobre il movimento sarà fuori dai ballottaggi nelle città in cui si è presentato da solo.

Vuol dire che le amministrative contribuiranno a suggellare la tanto discussa alleanza strutturale tra dem e grillini?

Dopo il primo turno ci sarà un salto di qualità nell’alleanza, ma non so se si cementerà in modo stabile. Anzi, penso che, superato il ballottaggio, inizierà una fase ulteriormente nuova nei rapporti tra questi due partiti caratterizzata da maggiore competizione e conflittualità.

In che senso?

Al fondo non è da escludere si possa porre una questione cruciale anche per la sopravvivenza stessa del governo. Voglio dire: dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, anche di fronte al rischio di arrivare sfiniti alla scadenza naturale della legislatura, Conte continuerà a sostenere questo esecutivo oppure accarezzerà l’idea di uno scioglimento anticipato? Potrebbe trovare in quest’ottica un possibile alleato in Matteo Salvini? Sono punti interrogativi sul futuro la cui risposta ovviamente potrebbe essere molto diversa.

Senta Martini, ma il riferimento a Torino e Roma sottintende che a suo avviso le partite di Milano, Bologna e Napoli sono già quasi chiuse, con il centrosinistra chiaramente favorito?

Al momento è nettamente così, con alcune sfumature di cui tenere conto.

A cosa si riferisce?

In particolare alla situazione di Napoli dove Gaetano Manfredi potrebbe addirittura riuscire a vincere al primo turno. Molto dipenderà dal risultato che sarà in grado di ottenere Antonio Bassolino, l’ultimo grande sindaco di Napoli protagonista di una campagna elettorale che definirei solitaria e romantica.

Passando a Roma, quale strada indica l’esempio di Ernesto Nathan – sindaco della capitale tra il 1907 e il 1913 – a cui ha dedicato il suo ultimo saggio?

Nathan ha dimostrato che per governare una città come Roma servono idee, programmi ambiziosi, coraggio, indipendenza dai poteri e senso quasi religioso di una missione. Idealmente sono le stesse caratteristiche che dovrebbe avere il prossimo sindaco di Roma.

C’è qualcuno che potrebbe essere maggiormente in grado di incarnare questo identikit?

Credo sarebbe puerile pronunciarsi ora in tal senso. Mi limito a dire che i candidati in campo non sono sulla carta così male.

Partiamo dalla sindaca uscente. Come valuta la sua corsa per il bis?

Ha mostrato tigna e coraggio nel volersi ricandidare, ma non credo saranno sufficienti per tornare a vincere. La quantità di consenso che otterrà al primo turno, a fronte di un consuntivo amministrativo non propriamente brillante, misurerà quanto ancora è forte a Roma, in particolare nelle periferie, il voto di protesta.

E Calenda? Ha qualche chance a suo avviso oppure è destinato a non arrivare al ballottaggio?

A livello nazionale le intenzioni di voto lo quotano mediamente tra il 2 e il 4% mentre a Roma tra il 10 e il 20 per rimanere generici. Questo di per sé è già un miracolo, il leader di Azione ha già scalato metà della montagna. Ora però è chiamato all’exploit finale: deve far cogliere pienamente agli elettori la sua diversità.

Che sarebbe?

E’ il candidato che garantisce la maggiore capacità di realizzare le promesse fatte in campagna elettorale. Gli altri sono tutti in buona fede, ma su questo aspetto oggettivamente sono in grado di dare minori assicurazioni. Questa è la carta su cui Calenda deve insistere, necessaria per compiere il salto definitivo.

Passiamo a Roberto Gualtieri. Come si sta muovendo secondo lei?

Intanto va sottolineato che, mentre tutti gli altri possibili nomi del centrosinistra si sono dati alla fuga, lui è l’unico che si sia voluto candidare a Roma. E poi, dopo una fase iniziale di apprendistato, dobbiamo riconoscere che sta dimostrando affidabilità e solidità.

Enrico Michetti invece?

Si è cercato di descriverlo come il candidato di Giorgia Meloni e delle destre. Ma non è così. Niente di tutto questo è vero. Michetti non ha nulla dell’estremista, anzi ha fatto il suo apprendistato nella Democrazia cristiana di Vittorio Sbardella. Finora si è presentato con argomentazioni per così dire molto originali, ma parte comunque da un zoccolo duro di elettori molto importante.

D’altro canto, il centrodestra a livello nazionale arriva a totalizzare secondo i sondaggi tra il 45 e il 50% dei consensi. Queste percentuali rendono a suo avviso Michetti il favorito?

Di sicuro sarà fortemente trainato dai partiti di centrodestra che in questa fase godono nel Paese, e quindi anche a Roma, di una spinta rilevante. Salvo cataclismi, dovrebbe al ballottaggio come primo. Vedremo semmai di quanti punti. Poi però, lo sappiamo, inizierà tutta un’altra partita.

Tutto questo significa che a confrontarsi al ballottaggio, a Roma, saranno centrodestra e centrosinistra?

In teoria sì, al ballottaggio dovrebbe andare in scena la sfida tra Gualtieri e Michetti, ma ci sono due incognite: appunto, la dimensione del voto di protesta a favore di Raggi nelle periferie e il possibile colpo di reni di Calenda.



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