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Votare per stabilizzare il Paese. Maiteeg e la sua Libia

L’ex vicepremier e vicepresidente del Consiglio presidenziale cerca di alzare il livello della discussione interna alla Libia, con una visione pragmatica che superi le divisioni e le individualità

“La divisione istituzionale in Libia porta ogni giorno al peggioramento della condizione di vita per i cittadini”, ha detto l’ex vicepremier e vicepresidente del Consiglio presidenziale Ahmed Maiteeg. Politico misuratino che ha relazioni internazionali profonde sia in Europa e Stati Uniti, che in Turchia, Emirati e Russia, Maiteeg sta muovendo le sue carte verso una candidatura alle presidenziali – che secondo la road map tracciata dall’Onu e dal Foro di dialogo politico libico, che ha eletto l’attuale governo guidato da Abdelhamid Dabaiba, dovrebbero tenersi il 24 dicembre.

Di Maiteeg si parla molto per due ragioni: la prima, è uno dei più attivi sul palcoscenico politico libico e si sta muovendo senza macchinazioni segrete per tessere una rete di connessioni che metta insieme consensi tra l’Est e l’Ovest del Paese; secondo, ha la capacità pragmatica di fotografare la situazione libica in termini analitici utili a chi deve raccontare lo stato dei fatti al netto delle forzature e degli interessi. In questi giorni è stato intervistato dall’emittente satellitare 218 Tv per discutere dossier politici ed economici: ne esce uno spaccato chiaro.

Maiteeg ha per esempio criticato il ruolo dell’Alto consiglio di Stato, l’istituzione consultiva che teoricamente dove fare da contraltare al Parlamento, ma che secondo il politico libico è ormai totalmente appiattita sulle mosse del suo presidente, Khaled Al-Mashri. Maiteeg ha parlato chiaramente di “fine del ruolo del Consiglio Supremo di Stato”.

“Se parliamo della scena politica e della sicurezza, come commenta la personalità di Khalifa Haftar?” gli è stato chiesto. Risposta: “Se parliamo dell’istituzione militare, in effetti c’è un’istituzione militare nella regione orientale, grazie a Khalifa Haftar”. Si tratta della milizia nota come Lna, che risponde ancora agli ordini del generalissimo della Cirenaica e che anche recentemente ha condotto operazioni contro gruppi armati nel sud-est del Paese. È però la stessa milizia che – aiutata da forze straniere, come i russi, gli egiziani e gli emiratini – ha cercato di prendere il controllo della capitale per rovesciare il governo onusiano di cui Maiteeg era leader. “Quanto all’attacco a Tripoli – dice – l’evento è stato pessimo, e ha rappresentato un disastro per Tripoli, perché molti di quelli colpiti da quell’attacco ne hanno pagato il prezzo”.

Nelle fase di deconflittualità, Maiteeg ha trattato Haftar con una linea pragmatica: ha stretto accordi per la riapertura dei campi petroliferi che le forze dell’Est avevano occupato, ha trattato l’unificazione del tasso di cambio e l’istituzione di un comitato misto per il controllo del cessate il fuoco. “La stabilità del Paese richiede la ricerca di tutte le soluzioni disponibili”, ha detto Maiteeg ricordando che le individualità sono state per lungo tempo il problema della Libia e che queste dovrebbero venir meno durante la fase elettorale, che dovrebbe includere chiunque voglia mettersi a disposizione del Paese. Passaggio dovuto, a questo punto, riguarda il presidente del parlamento Aguila Saleh, per lungo tempo sparring partner politico di Haftar, da cui poi ha diviso il proprio destino cercando una via personale sponsorizzata dall’Egitto.

Saleh è una figura politicamente nota, e anche per questo ha recentemente prodotto un testo per l’elezione del presidente, votato dall’assemblea e sostenuto da ampie parti della Comunità internazionale, tra cui l’Italia: uno scatto in avanti verso il voto, che lo stesso Maiteeg dice di sostenere al cento per cento. “La Libia ha bisogno di un’unica amministrazione per guidare il Paese e per porre fine alla divisione delle istituzioni e delle autorità legislative. Oggi vediamo la Camera dei rappresentanti emanare molte leggi che non vengono attuate e il governo prende decisioni che non possono essere attuate (dato che la Camera l’ha sfiduciato, ndr), mentre altri partiti cercano un ruolo attraverso la continua divisione della scena politica: non è nell’interesse di questi partiti arrivare al 24 dicembre”, dice l’ex vicepresidente.

Il punto è che in Libia esistono ancora divisioni su chi vuol votare, ossia portare a compimento il percorso onusiano, e chi invece ha maggiore interesse nella permanenza dello status quo. Questa situazione si porta dietro uno stallo generale che blocca molte delle attività dello stato, a cominciare dal bilancio. Secondo diversi analisti, rimandare le elezioni significa eleggere un altro governo ad interim, ma questo si potrebbe portare dietro spaccature profonde che potrebbero anche sfociare nel ritorno alla violenza.

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