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Fuga dal debito cinese. Così gli investitori mollano Pechino

La crisi immobiliare innescata dal crack di Evergrande e Fantasia si è tradotta in una progressiva perdita di fiducia dei mercati verso il Dragone. Che ora rischia di non trovare più finanziatori internazionali

Si fa presto ad avere un debito pubblico-privato pari al 287% del Pil, su per giù 46 mila miliardi di dollari. Oppure un’esposizione verso il mercato che, solo per il settore immobiliare, vale quanto l’intera ricchezza prodotta dal Giappone. Basta che ci sia qualcuno che compra, che sottoscrive i titoli. In una parola, si fida. Vale per tutti, per l’Italia come per la Cina. La Penisola lo sa bene, con un debito pubblico di quasi 2.700 miliardi, il terzo al mondo, rimasto in piedi proprio grazie a investitori che, non sempre con la stessa fiducia (impossibile dimenticare le drammatiche crisi da spread), hanno comprato titoli di Stato.

Lo sa bene anche la Cina dalle finanze pubbliche messe sottosopra da una crisi immobiliare che sembra non avere più fine e di cui il collasso di Evergrande è solo un emblema o poco più. Il debito immobiliare cinese sarebbe anche sostenibile se gli investitori si fidassero ancora delle obbligazioni emesse dai giganti del settore. Peccato che non è così e che sia Evergrande, sia altri colossi, tra cui Fantasia ma persino alcuni gruppi della moda, abbiano smesso da tempo di onorare i propri impegni con il mercato che proprio quel debito ha finora sostenuto.

Il risultato, ha scritto il Financial Times, è qualcosa tra lo scontato e il drammatico. All’estero sono rimasti in pochi a comprare debito cinese, al punto che le vendite internazionali di obbligazioni da parte di società immobiliari dell’ex Celeste Impero si sono pressoché fermate a settembre. Il Dragone e il suo mattone non emettono più bond o se lo fanno, quasi nessuno li sottoscrive. Come raccontato dal quotidiano britannico, solo una società è riuscita ad attingere ai mercati esteri da quando Evergrande ha fatto cilecca su quasi 90 milioni di pagamenti di interessi.

“Il mercato”, ha affermato un banchiere europeo rimasto anonimo, “è davvero diventato piuttosto cupo, al punto che un terzo dei circa 60 gruppi immobiliari cinesi con debiti in dollari insoluti potrebbe finire definitivamente fuori dai giochi della finanza internazionale. Più che Evergrande, il vero shock per il mercato è stata l’insolvenza di Fantasia”. Per Pechino si tratta di un grosso problema, perché se il mercato non finanzia più il debito, lo deve fare lo Stato. O crolla tutto.

Una cosa è certa, non ci sono solo le speranze degli investitori ad essere messe a dura prova dalla crisi cinese. Anche i cittadini della Repubblica Popolare sono piuttosto scoraggiati: il fallimento di Evergrande è stato visto come una specie di enorme truffa, che ha spento il desiderio dei cinesi di comprarsi una casa. Troppo rischioso comprare un immobile da un venditore finito a gambe all’aria. E il mercato si è fermato. Come quello obbligazionario.


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